Collaborazione Taine e Zola. Un nodo tra psicologia e politica

Ascesa o decadenza delle società e delle civiltà

Un nodo tra psicologia e politica in alcuni scritti dimenticati

Attorno al 1895, mentre sfogliava le pagine del Journal dei fratelli Goncourt, Gabriel Trade ebbe occasione di imbattersi nel breve resoconto di una conversazione di Berthelot, nella quale il celebre scienziato francese profilava l’ipotesi che l’umanità, dopo il raffreddamento della massa solare, fosse destinata a ritirarsi nel sottosuolo terrestre. Trade, leggendo le parole di Berthelot, si rammentò di una “fantasia sociologica” da lui composta molto tempo prima, probabilmente verso la fine degli anni Settanta, quando, ancora sconosciuto alla comunità accademica, svolgeva le funzioni di magistrato in una piccola cittadina di provincia. Il racconto del crimilogo Sarlat prendeva le mosse proprio dall’ipotesi di una nuova era glaciale, che, nell’anno 2498, avrebbe spinto i pochi superstiti del genere umano a imboccare la strada delle profondità della Terra. Incoraggiato dall’ipotesi di “una personalità così eminente”, Tarde si decise a sottrarre il manoscritto dal polveroso stipo in cui era rimasto a lungo abbandonato e a pubblicarlo, alcuni mesi dopo, nel 1896, sulla prestigiosa “Revue Internationale de Sociologie”, con il titolo Fragment d’histoire future. Nel racconto fantascientifico di Tarde erano evidenti i debiti verso il classico filone del pensiero utopico. In effetti dallo scritto trapelava l’influenza per quella sorta di ossessione per il sottosuolo, i cunicoli sotterranei, che avevano ispirato a Victor Hugo il memorabile viaggio di Jean Valjan nelle fogne di Parigi, nei Miserabili, e alimentato alcuni dei più noti romanzi di Jules Verne, come il Viaggio al centro della Terra. La fortuna di queste ambientazioni, da un lato, rimandava al tema topico della discesa agli inferi, ma, dall’altro, assumeva anche – nel contesto culturale della seconda metà dell’Ottocento – un ulteriore significato, in cui il viaggio verso le profondità della Terra veniva ad alludere simbolicamente all’esplorazione che gli studiosi positivisti intendevano compiere: l’esplorazione “scientifica”, cioè, nelle profondità più oscure della costituzione psicologica umana, calandosi in quelle remote cavità in cui il passato individuale andava a confondersi con l’eredità primordiale della spcie e della razza.

Molti degli scritti di psicologia collettiva della fine dell’Ottocento e dei primi del Novecento si rivelano oggi inservibili, oltre che segnati spesso da deleterie distorsioni prospettiche. E tuttavia molti dei dilemmi che le scienze sociali avrebbero tentato di risolvere nei decenni seguenti, e che ci colgono di sorpresa con la loro imprevista attualità. All’incrocio di molteplici filoni teorici e disciplinari, il dibattito delle nascenti scienze sociali sulla conservazione e la propensione al nuovo, oltre che sulle cause dell’ascesa e della decadenza delle civiltà, coglieva infatti non soltanto la rilevanza della dimensione temporale per ogni sintesi politica, ma anche quella della proiezione temporale nella costruzione stessa di ogni identità politica.

Misoneismo e rivoluzione

Max Nordau, nel suo scritto, attinse a piene mani dalla pagine sulal decadenza di Hippolyte Taine e di Emile Zola. La prospettiva di lungo periodo che trapelava dalla sua Entartung non era perà interamente pessimista. Infatti egli considerava la degenerazione come un processo storico inevitabile che tuttavia non conduceva necessariamente al crollo della civiltà occidentale. All’interno di una prospettiva integralmente evoluzionistica era intesa come il prezzo da pagare alla stessa logica del progresso storico. Accanto alla frazione di umanità psichicamente segnata dallo stigma della degenerazione, avrebbe però iniziato a profilarsi una nuova schiera di esseri umani, in grado di adattarsi al progresso tecnologico di cui Nordau ne forniva una suggestiva prefigurazione. A dispetto dell’ottimismo riposto nelle potenzialità della selezione naturale Nordau, come Zola e Taine, trovava il segnale di una patologia generale, che in Francia era stato aggravato dal logoramento subito nei cento anni precedenti. La Francia proprio per le sue  precedenti vicende sociali dalle conseguenze distruttive era stata incapace di adeguarsi alle innovazioni tecnologiche che la segnarono fatalmente nelle successive battaglie. Sarebbe stato lo stesso Zola, nelle pagine conclusive della Dèbàcle, a porre il sigillo definitivo a questa rappresentazione della Comune, raffigurando l’insurrezione di Parigi come un’epidemia di “ubriachezza generale”: “la popolazione, vissuta a lungo senza pane, … s’era saturata e orami sragionava alla minima goccia …” portando la popolazione a votarsi alla causa suicida di una catastrofe capace di purificare il mondo. La condizione di folla – con tutte le conseguenze che Taine e Zola descrivono, è il prodotto di una disgregazione accidentale e provvisoria dell’ordine psichico conquistato dal processo di civilizzazione.

Invenzione  e ripetizione

Il fatto che Tarde avesse risolto nel suo scritto  la problematica relazione fra la tensione verso il progresso e l’attrazione di un passato atavico nel rapporto tra l’invenzione e l’imitazione, non significava che egli fosse immune da quell’incubo della degenerazione e del declino, da cui era tormentata la psicologia collettiva di fine secolo. Nel magistrato di Sarlat egli aveva illustrato la propria tesi sulla centralità dell’invenzione e sulla conseguente dinamica dell’imitazione in un’articolo pubblicato sulla “Revue philosophique”. Nell’articolo Tarde sosteneva che le società sono tenute insieme non solo dai bisogni economici e naturali, ma soprattutto da idee e mentalità comuni, prodotte da individui geniali e assorbite dalla massa della popolazione mediante un lento processo imitativo. Da ciò Tarde definiva ogni gruppo umano come “una collezione di essere in quanto stanno imitando fra loro o in quanto, senza attualmente imitarsi, si somigliano essendo i loro tratti comuni copie antiche di uno stesso modello”. Il ricorso all’idea dell’imitazione non costituiva un’operazione interamente originale, perché prima di tarde avevano già utilizzato lo schema esplicativo diversi studiosi  come Charles Darwin, nell’Origine dell’Uomo e tempo dopo Alfred Espinas. A molti studiosi i presupposti individualisti  di Tarde apparirono come scientificamente inaccettabili, in quanto incompatibili sia con l’assunto di fondo delle teorie organiche, sia con le loro conseguenze sulla raffigurazione del processo di trasformazione sociale. In effetti Tarde respingeva l’idea di una sostanziale analogia tra organismo e società, proprio sulla base della conseguente dinamica di progresso che da essa sarebbe scaturita.

Le opinioni e le credenze

La specie di afflato metafisico, che Trade lasciava trapelare dai suoi scritti, non sfuggì a Georg Sorel, impegnato nella peropria revisione del marxismo e nel sostegno al sindacalismo francese. Ad attrarre l’attenzione di Sorel verso gli studi di psicologia collettiva di Trade stava proprio nell’ambivalente rapporto tra conservazione e propensione al nuovo: una soluzione in cui l’evoluzionismo positivista arrivava a scoprire sia il fondamento irrazionale che muoveva il prograsso storeico, sia il ruolo cruciale che, nei grandi mutamenti politici, assumevano i miti e le credenze mistiche delle masse. Anche Le Bon aveva scorto per la prima volta lo spettro della decadenza  nella Dèbàcle francese contro la Prussia e nella tragedia della settimana di sangue del 1871. E, come Taine, aveva preso le mosse da quegli eventi per avviare un vasto progetto, di cui la Psychologie des foules fu soltanto l’esito più riuscito e fortunato. Mutuando grtan parte dei materiali teorici della propria riflessione dal dibattito contemporaneo, il merito di Le Bon fu soprattutto quello di fornire una sistemazione efficace a teorie che, spesso tra loro contraddittorie, erano peraltro estremamente suggestive. Nel 1895 pubblicando questo scritto Le Bon sembra segnare una inversione di rotta. Per quanto molti dei materiali e delle ipotesi da lui formulate, già presenti nelle opere di Tarde,  Sighele e Taine, li organizza dentro un quadro nuovo, non privo di contraddizioni interne, eppure suggestivo. Fondendo insieme le leggi della psicologia delle folle con lo schema teorico della psicologia dei popoli, lo scrittore francese delinea una serie di leggi generali che mirano a spiegare il comportamento dei popoli, delle razze e delle aggregazioni umani stabili e coerenti.

L’individuazione della psicologia collettiva

Mentre in Francia e in Italia gli studi di psicologia collettiva sono sempre meno coltivati, il tentativo di trovare una connessione tra le scienze psicologiche e le scienze sociali in Germania si trova al centro dell’interesse dei filoni di ricerca. Espulsa dalla toria pura del diritto, la proposta di una cooperazione fra le scienze psicologiche e le scienze storico-sociali si sarebbe presto scontrata con la specifica soluzione offerta dallo studioso Weber. Nella sua soluzione avanzata il metodo della comprensione logica dei fenomeni sociali ed economici – il nucleo metodologico della sociologia comprendente – Weber presuppone una netta divaricazione proprio dall’ananlisi psicologica del comportamento individuale. Criticando l’impostazione analitica di Roscher ad esempio Weber esclude che le istituzioni economiche possano essere spiegate col riferimento alle radici psicologiche dell’agire dei singoli. In modo più incisivo egli esclude anche la tesi di knies, secondo cui l’interpretazioen dei fatti sociali ed economici richiederebbe la conoscenza – o almeno la presupposizione – dei contorni di quella unitarietà psicologica che rappresenta il fondamento stesso di ogni aggregazione umana. La psicologia di Weber rifiuta il ricorso a qualsiasi tipo di spiegazione psicologica.

La costruzione dell’orizzonte temporale – La contemporaneità

Intervenendo al IV Congresso della International Society of Political Psychology, nel 1981,  Gianfranco Miglio dedica alcune osservazioni al Tempo come elemento psicologico nel processo politico. Proprio l’ananlisi della componente temporale sembra profilare il terreno privilegiato di una necessaria e auspicabile collaborazione fra l’indagine politologica e la psicologia. Nella teoria che Miglio va disegnando, incentrata sulla ricerca dei fondamenti originari del vincolo politico, la dimensione temporale risulta decisiva per differenziare la struttura interna delle due tipologie di vincolo sociale cui egli ritiene ricondurre tutte le forme storiche della convivenza associata. Egli scrive: proprio la diversa prospettiva temporale differenzia l’attesa di chi contrae un rapportyo di fedeltà politica da quella di chi stipula un contratto-scambio (privato). Cioè, se da un lato, nel rapporto contratto-scambio (privato) l’attesa tra promessa fatta e promessa mantenuta tende a ridursi a zero, dall’altro la logica costitutiva del vincolo politico rimanda invece a un orizzonte temporale ben più esteso, e tanto lontano, da risultare addirittura indeterminato. L’ipotesi di Miglio sulla insolubile dicotomia di “obbligazione politica” e”contratto-scambio” (insieme con l’idea che tale contrapposizione si caratterizzi per la differente prospettiva temporale) informa di sé l’intero progetto di ricerca. Per lui l’esperienza politica può essere intesa come un “ampliamente spaziale e temporale delle prospettive individuali”, oltre che come elemento che “ interviene nella vita degli individui e delle collettività come regola, progetto, speranza, al limite come utopia che si colloca ad un termine indefinito. L’idea di Miglio di “concentrare le nenrgie sull’analisi delle radici psicologiche del comportamento politico” rimanda, per molti versi, agli assunti metodologici di due progenitori della scienza politica contemporanea, quali Mosca e Pareto. L’ipotesi che l’irriducibile contrapposizione tra “obbligazione politica” e “contratto-scambio” implichi anche uan duplicità strutturale nella prospettiva temporale e nella rappresentazione psicologica dell’orizzonte futuro, rimanda alle pionieristiche intuizioni formulate tra Otto e Novecento da autori come Le Bon e Sighele, a loro volta collegate con Taine ed altri studiosi della dottrina di allora.

(Lorenzo Ornaghi – Damiano Palano Ascesa o Decadenza delle Società e delle Civiltà – Un nodo tra psicologia e politica. Pubblicato a cura di Patrizia Catellani – Milano 2005).

La collaborazione tra Taine e Zola e il nodo tra psicologia e politica in alcuni scritti dimenticati, in particolare la psicologia collettiva di fine ottocento e inizio novecento, si rivelano oggi inservibili come dei critici affermano oltre che segnati spesso da deleterie espressioni prospettiche, ma non credo inservibili in quanto successivamente Miglio le ha riprese. Nordau considerava la degenerazione come un processo storico inevitabile, che tuttavia non cunduceva necessariamente al crollo delle civiltà occidentali. In questa prospettiva evoluzionistica era inteso anche il prezzo da pagare alla logica del processo storico accanto alla frazione di umanità psichicamente segnata dalla degenerazione che avrebbe generato il profilarsi di una nuova schiera di esseri umani in grado di adattarsi al progresso tecnologico. Nordau, come Zola e Taine, trovava il segnale di una patologia generale che era stato aggravato nei cento anni precedenti.Parlare adesso della psicologia collettiva di Trade stava proprio nell’ambivalente rapporto tra conservazione e propensione al nuovo sia il fondamento che muoveva il progresso storico sia il ruolo cruciale dei garndi mutamenti politici. Sighele e Taine riorganizzano le opere di tarde in un quadro nuovo non privo di contraddizioni interne, fondendo le leggi della psicologia delle folle con lo schema teorico della psicologia dei popoli. Ecco che si arriva ala psicologia collettiva. Lo studioso Weber presuppone una netta divaricazione del comportamento individuale. Ma esclude che le istituzioni economiche possano essere spiegate con riferimenti a radici psicologiche dell’agire dei singoli. In pratica la psicologai di Weber rifiuta il  ricorso a qualsiasi spiegazione di tipo psicologico. Nella contemporaneità, invece, in un congresso sulla internazionale società di politica e psicologia Gianfranco Miglio dedica alcune osservazioni al tempo come elemento psicologico nel processo politico. In pratica una necessaria e auspicabile collaborazione tra l’indagine politologica e la psicologia. Nella teoria che Miglio va disegnando nella ricerca dei fondamenti originari del vincolo politico la dimensione temporale risulta decisiva per differenziare le due tipologie di vincolo sociale che egli riconduce alal convivenza associativa. Parla dunque di un rapporto di fedeltà politica tra l’attesa di chi contrae da quella di chi stipula un contratto-scambio. Cioè in  effetti l’attesa tra promessa fatta e promessa mantenuta tende a ridursi a zero mentre dalla’ltro la logica costitutiva del vincolo politico rimanda invece a un orizzonte bem più esteso da risultare indeterminato. L’ipotesi di Miglio sulla insolubile dicotomia contratto-scambio e obbligazione politica e contratto-scambio informe di sé l’intero progetto di ricerca. L’esperienza politica piò essere intesa dalle prospettive individuali. L’idea di Miglio è di concentrare le energie sull’analisi delle radici psicologiche del comportamento politico quale rappresentazione psicologica dell’orizzonte futuro e rimanda alle pioneristiche intuizioni formulate tra otto e novecento da autori come Le Bon e Sighele a loro volta collegati con Taine ed altri studiosi della dottrina di allora. Ecco che si riparla di Taine, come contemporaneo di una nuova destra in Italia, come già lo è stato per la Francia, tenendo conto della dottrina da lui enunciatam e seguita da tanti altri politologi e filosofi. In quetso caso Miglio è stato precursore in Italia di un nuovo modus operandi cioè il famoso contratto sociale-scambio con il popolo fatto da Berlusconi. La costituzione di un vincolo politico, da risultare addirittura indeterminato, addirittura una obbligazione “politica”. Ovviamente in una prospettiva individuale convincendo le masse intervenendo nella vita degli individui e delle collettività. Un progetto speranza al limite come utopia che si colloca a un termine indefinito. Ecco che quindi si concentrano le radici psicologiche del comportamnetro politico tanto predicato da Taine, da Tarde, da Sighele e Le Bon. Quegli individualismi psicologici che servivano a condizionare le masse o i popoli per le rivoluzioni  o per un diritto al voto. Quindi sono sempre quegli individualismi psicologici che sono contestuali alle masse, alla società, che smuovono i contesti nuovi storici. Quindi il naturalismo anche se in modo indiretto, supera anche il positivismo, pone le basi per considerare una realtà basata su un individualismo, un genio che parte dalle masse. Il libro di Taine Psychologie Des Foules è stato un testo riuscito e fortunato. Comunque il concetto della psicologia come principio fondamentale del naturalismo matematico, misurato nel tempo e nello spazio per gli atti della psiche e gli atti sensitivi e riflessi quando Campanella appunto accetta il criterio della causalità e della proporzione che rende Bruno moderno egli diventa più moderno di Bruno stesso. Dunque possiamo dire che il concetto di naturalismo ha radici risorgimentali. Lo stesso Taine, dunque come detto già in precedenza in Uomini e Tempi di Bovio, riprende il suo pensiero  dal concetto risorgimentale del naturalismo matematico.

Veri conservatori Veri nazionalisti – Le destre nel Novecento

Le radici dei “pensiero di destra” del Novecento sono molteplici: affondano nell’Ottocento, nel Romanticismo e perfino nel Positivismo. L’involuzione di pensatori come come Taine e Renan in Francia si collegano con le critiche dei romantici inglesi all’età liberale e della trasformazione industriale. La crescente organizzazione dei lavoratori industriali in leghe, sindacati, partiti è guardata con sospetto soprattutto in chi è ancorato ad una filosofia della storia pessimista. Secondo Taine, ad esempio, 10 milioni di “ignoranze”  non riescono a superare il sapere e la saggezza delel aristocrazie “naturali” destinate a guidare le masse, cioè milioni di “ignoranze”. “Le masse – scrive Taine – non hanno mai avuto né mai avranno un ruolo creatore: la storia è opera delle grandi personalità o al più di minoranze attive che agiscono”. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fuoriscono studi al confine tra sociologia e psicologia sulla cosiddetta “psicologia delle folle”. Due autori francesi si mettono in luce come detto: Gabriel Tarde e Gustave Le Bon. Tarde scrive che la folla è “una bestia impulsiva e maniaca”, animata e dominata da istinti incontrollabili e tendenzialmente criminali. Secondo lui non ha alcun rilievo il fatto che l’individuo, preso singolarmente, possa risultare razionale. Nel contatto con la folla perde il controllo di sé e si annulla nella massa. Le Bon, dal canto suo, cerca di analizzare e trovare i fattori per i quali gli istinti malevoli emergono in particolari situazioni. Secondo Le Bon, vi è una forza oscura, del tutto opposta alla chiarezza del comportamento razionale individuale che pervade le masse fino a possederle. Questo tipo di analisi spinge in direzione di una intepretazione elitistica del governo politico sociale. secondo lo studioso Pareto abbiamo due strati di popolazione: 1) lo strato inferiore, la classe estranea all’èlite e 2) lo stato superiore l’èlite che si suddivide in due: a) l’èlite di governo e b) l’èlite di non governo. Nella sua disamina paradossalmente Pareto ammette la visione marxista della storia come storia di lotte tra le classi, ma ne trae conclusioni del tutto opposte  a quelle Marx. Lo scontro non produce progresso ma solo il succedersi di una nuova èlite a quella precedente. Da ciò emerge che nella concezione di “destra” sociologica ispirata al più ammirevole pessimismo conservatore, si trovano elementi di disprezzo per le masse, ritenute incapaci di pensare politicamente e immature da sempre e per sempre, ma non vi si trovano né elementi di razzismo, né di fanatismo. Tutt’altro: si tratta di una “destra” razionale che fonda i suoi principi su una netta distinzione tra l’aristocrazia non più del sangue, ma del pensiero, e la massa dei cabrones.

(Carlo Fracasso – Veri conservatori e fanatici nazionalisti – Le destre nel novecento – Citazioni tratte da Il Pensiero Politico del Novecento – Gian Mario Bravo e Corrado Malandrino – Piemme – 1994).

Ci si sente di destra perché gli ideali liberali, repubblicani e conservatori appartengono un po’ a una moltitudine di persone. Ci si sente di destra perché si crede nell’Europa. Ci si sente di destra perché pur essendo cattolico penso che la poloitica debba rispondere ai cittadini non alla CEI. Ma quello spontaneo della società italiana è un conservatorismo senza ambizioni, senza progetto, senza alcun orizzonte istituzionale vero sul quale è impossibile costruire nulla o è possibile costruire tutto. Ma un moderno conservatorismo politico è un’altra cosa, innanzitutto è liberale cioè in economia è contro ogni strettoia corporativa o monopolistica a vantaggio dei gruppi privilegiati e interessi protetti senza per ciò essere sempre e comunque contro l’intervento pubblico. Ideologicamente poi esso dovrebbe essere interessato soprattutto a promuovere e difendere le diversità delle opinioni. Cercando altresì di essere culturalmente anticonformista e, quindi, simpatizzando con le inoranze e i loro punti di vista. Proprio l’anticonformismo culturale e la simpatia per le posizioni di minoranza spingono un liberismo così inteso a stare in guardia verso l’attuale modernità trionfatrice e travolgente. Dunque dovunque e proprio per questo a orientarsi in senso conservatore. Il che oggi vuol dire mostrarsi attenti alla tradizione, cauti nel disfarsene  sempre e comunque secondo quando invece comandano i tempi. Detto ciò rimane però il punto fondamentale che in Italia una vera cultura politica conservatrice non può che essere una cultura orientata allo stato come garante da un lato dell’intersse generale (che è sempre l’interesse dei più deboli) e dall’altro dell’obbligo dell’adempimento da parte di tutti dei doveri verso questo interesse. Tanto per comunciare pagando le tasse. E significa da ultimo prendersi cura della macchina dello Stato, delle sue articolazioni di centro e delle periferie mantenendone le capacità di controllo sul territorio attraverso le sedi istituzionali. Tutto questo corrisponde  a quella cosa che si chiama autorità e sovranità dello stato le quali a una qualunque destra dovrebbe forse stare a cuore e che fanno tutt’uno con l’idea di una sovranità nazionale.

La nuova destra in
Italia dovra’ avere una nuova identita’. Non piu’ riconducente al partito
fascista ma adeguarsi alla sua contemporaneita’. Avere una propria identita’
programmatica, ovviamente la coalizione di centro destra, con programmi che si
possono condividere e sostenere unitariamente. Essere soprattutto piu’ popolare
e liberale. Senza allontanare lo sguardo da un’azione politica moderata,
centrista per un equo confronto dialettico fra le varie forze che partecipano
alle competizioni elettorali.

 E il socialismo fa sempre capolino? Ha
dimostrato che c’è per le presidenziali, ma non per le regionali  facendo desistere i propri candidati. Va
comunque loro riconosciuta una importante funzione politica. Superlativo è
stato Hollande a spostare e lanciare Emmanuel Macron sulle tracce di Emile
Zola.

Non e’ propriamente la giusta definizione del socialismo politico
europeo. In effetti c’e’ questa ondata politica di destra, moderata e
repubblicana che insieme ai movimenti populisti hanno sconfitto in quasi tutti
gli stati europei il socialismo. Lo abbiamo anche ampiamente diagnosticato e
verificato nelle nostre analisi e riscontri politici. Ma la cosa interessante
e’ che D’Alema fa bene ad aprire ai movimenti progressisti, innovativi e magari
anche tradizionalisti. Il Movimento Naturalista Internazionale, cosi’ definito,
era appunto uno di quei garndi movimenti che appartenevano alal storia delle dottrine
politiche. Incoraggiarlo e sostenerlo e’ doveroso per noi ma e’ anche doveroso
per i grandi leader politici.