Professore di estetica presso l’Accademia delle Belle Arti di Parigi.
Può essere utile interrogarsi sul significato profondo che assume il termine di “naturalismo”, osservandone la dilatata portata che esso assume non solo nell’arco lungo della storia, ma anche all’interno delle logiche comunicative, andando a plasmarsi, nello scorrere del tempo, secondo gli orientamenti della Weltanschaung di volta in volta prevalente.
Naturalismo dovrebbe significare l’adesione del soggetto alle prospettive che la natura addita tra azione umana e ciò che è artefatto.
In realtà un orientamento “naturalistico” marca, piuttosto, una sorta di costante storica nello sviluppo del pensiero umano, configurandosi come un indirizzo di pensiero che distingue nella interpretazione delle cose, segnando il discrimine tra ciò che può essere accreditato come conoscenza nell’impiego di risposta asseverativa, valga non soltanto come espressione più forte d’un semplice sì, ma intervenga anche a fornire una sorta di certificazione convincente della validità logica d’un concetto.
Ci si può interrogare sulla lontananza storica del termine, sul suo primo impiego e sulla coscienza critica che il soggetto umano ha saputo ed inteso esprimere quando ha proposto la definizione del termine di “natura” come matrice organica dell’universo stesso.
Muove di qui l’Ilozoismo storico antico e, lungo tale abbrivio di ricerca filosofica verranno disponendosi, nel corso del tempo, le più significative espressioni di quell’orientamento di pensiero che, muovendo dall’ancoraggio “naturalistico” costruiscono una prospettiva di decrittazione e lettura dell’evenienza epifenomenica assumendo un atteggiamento epistemico via via più avvertito e metodologicamente attrezzato.
Scavalcato Talete e tutti gli antichi Presocratici che propongono le rispettive formulazioni di un’Archè naturalisticamente atteggiata, saranno, poi, il pensiero democriteo e, a seguire, quello epicureo, l’espressione evolutiva di una coscienza critica del ruolo della natura nella costruzione dell’universo e del reale.
Il Medioevo, pur tenendo conto del processo svalutativo della natura che offre il Cristianesimo, interviene decisamente sul punto e fissa nella formula dell’universale post rem un’opportunità di centralizzazione del mondo della natura che, sempre più, diviene anche il luogo delle esperienze.
Sarà con il Rinascimento che la rivalutazione del soggetto umano comporterà anche la riconsiderazione del ruolo della natura.
Deus sine natura, natura naturans, sono questi i concetti-pilota per un pensiero, quello rinascimentale, che, da Telesio, a Bruno, a Campanella, a Galilei, a Spinoza, vorrà considerare il significato di centralità del soggetto umano nell’ordine naturale” delle cose, identificando, peraltro, la natura come tutt’altro che un progetto giustificantesi in virtù di una premeditazione allotropa, ma con una processualità ragionevolmente spiegabile juxta propria principia.
L’Ottocento paga lo scotto dell’involuzione romantica ed idealistica, che, consegnando ad una “filosofia dello spirito” il primato rispetto ad una concezione che – se di stampo naturalistico – può apparire decisamente depotenziata – confinata, come appare, entro i limiti spaziotemporali d’una provvisorietà precaria ed incontrollabile. Alle triadi dialettiche hegeliane, la risposta viene data dalle nuove formulazioni d’una prospettiva positivistica che, variamente operante in Europa, consegna alla delibazione logica il portato d’una speculazione filosofica che centralizza l’esperienza del soggetto facendo del suo atto conoscitivo non l’ipostasi metafisica di una concezione spiritualistica, ma la concreta affermazione dell’autonomia della conoscenza nel disvelamento delle leggi di natura, senza porsi in alcun modo il tema “metafisico” di una possibile “causa prima” ed andando, invece, ad indagare all’interno della natura se non potesse essere possibile individuare una radice convincente per dare spiegazione e motivo della successione manifestata degli eventi che si succedono nel corso della storia. Già Hume aveva additato la preferibilità di una conoscenza post hoc anzicchè propter hoc.
Una tale filosofia non può che essere una filosofia “positiva”, una filosofia che indiscutibilmente si apre a diverse opportunità di delibazione, ma che, nel suo complesso, appare unitaria nell’attribuire al percorso della storia non il ruolo di uno svolgimento etero diretto della teodicea, ma il ruolo concreto e verificabile dell’esperienza umana. Si afferma il metodo matematico e si afferma anche una importante disponibilità alla verifica e alla comparazione.
Esistono certamente differenze nell’orientamento di pensiero di autori positivisti come Comte, Stuart Mill, Taine, ma l’idea che li accomuna è tale da risultare – al di là delle differenze tra loro – come una sorta di “basso continuo”. Nel secolo dell’Ottocento saranno gli scrittori naturalisti-realisti-veristi quelli che sapranno costruire, per le dinamiche del Positivismo, l’abbrivio privilegiato ed efficace per ottenere, al di là degli specialismi, la penetrazione della concezione “naturalistica” fin nel più profondo del tessuto sociale.
Certo, esistono differenze marcate tra naturalismo, verismo e realismo, ma non sono queste differenze tali da lasciar pensare che si sviluppi, all’interno del Naturalismo, una dialettica autodistruttiva.
Personalità come Zola, ma anche come Flaubert e, in Italia, come Verga e Capuana, ma anche come De Roberto, la Serao o come Di Giacomo meritano la massima attenzione, essendo essi stati quelli che hanno saputo leggere l’individualità soggettiva come manifestazione individuale d’una più ampia e dilatata dimensione, quella della socialità.
Non poteva non aversi un risvolto “politico” di questi aspetti propriamente sociali, ed in questa direzione appare fondamentale non solo il lavoro svolto da Taine, ma anche da Zola.
Un pensiero prettamente naturalista? Proviamo a definire il profilo della sua matrice storica.
Diremo, quindi, d’un naturalismo socialista su base sociale e non di derivazione storico-materialistica, in cui si fondono le istanze liberali tocquevilliane e di Stuart Mill, non ignare delle sensibilità proudhoniane e latamente benthamiane, sullo sfondo di una temerarie concettuale che si avvia a consumare l’ultimo salto sulla strada dell’affrancamento dalla superstizione per imboccare la via della conoscenza e dell’approfondimento scientifico.
Hippolyte Taine vede lo svolgimento d’una processualità de terministicamente atteggiata, ove il fattore psicologico, lungi dall’essere negato nella sua evidenza storica e sociale, è analizzato come aspetto saliente e caratterizzante di dinamiche fisiologiche in cui gioca un ruolo decisamente importante ciò che noi, oggi, definiamo “patrimonio genetico e che Taine definisce race, unitamente con la pregnanza del contesto storico (Taine dice il moment) e del contesto ambientale (Taine dice il melieu).
La domanda di fondo è come possa tutto ciò non avere un suo preciso risvolto politico, come, cioè, immaginare che le aggregazioni sociali possano costituirsi e reggersi senza che la natura stessa provveda a creare una determinazione di assetti che favorisca un rinnovamento radicale delle strutture fin qui esistite.
Il socialismo appare come una sicura via da percorrere e Zola prontamente ne abbraccia le ragioni, rinterrando quel progetto politico e correggendone la rotta con le idee del Naturalismo.
Nella sua opera sulle Origines de la France contemporaine, Taine discute sul perché del fallimento di un progetto politico di tipo rivoluzionario che non ha determinato le condizioni di stabilità politica e pone in discussione i metodi per l’approccio alla democrazia dei popoli, valutando che le componenti sociali debbano trovare una più viva opportunità di specchiamento nella contestualizzazione politica per poter effettivamente ritrovare, nel contesto istituzionale, l’inveramento delle proprie posizioni intellettuali.
Si tratta, insomma, di osservare la possibilità di concepire un progetto politico come un laboratorio scientifico, conferendo spessore alla dimensione psicologica che non può essere considerata come il campo di esplicazione delle mere volitività soggettive ed individuali, ma come il luogo di armonizzazione sociale nell’equilibrio ponderato delle condizioni di praticabilità di un progetto sociale di forte rilievo inclusivo.
Nel suo Du suffrage universale t de la manière de voter, Hipplyte Taine sviluppa una valutazione molto intensa nelle dinamiche dei sistemi elettorali ed identifica l’insuccesso della rappresentanza politica nella mancanza di una coscienza partecipativa che nasce dalla carenza dell’opportunità informativa.
Appare evidente che all’interno delle logiche propositive di una formula aurea che possa garantire il successo dell’istituzione democratica, secondo un progetto intensamente naturalistico (giova osservare che nell’opera predetta, Taine cita espressamente, lodandone le capacità descrittive della società, l’attività di romanziere di Flaubert) il Nostro avverte l’esigenza di prospettare la necessità di una formazione democratica e di una cultura alla partecipazione come condizione imprescindibile per la espressione di un voto consapevole. E pone, evidentemente, il voto consapevole come condizione necessaria per il successo di un progetto democratico, all’interno del quale la distribuzione delle competenze non può determinarsi correttamente se non attraverso una selezione del personale politico che veda impegnato un elettorato cosciente con uno strumento idoneo quale può essere, ad esempio, l’elezione di secondo grado; ed in proposito, Taine non manca di citare l’indicazione che fornisce Tocqueville a proposito degli Stati Uniti d’America.
Si potrebbe osservare che il Naturalismo, da questo punto di vista, piuttosto che fornire un orientamento di prospettiva, piuttosto che fornire una linea strettamente ideologica, preferisca indugiare sulla strumentazione, ma è proprio attraverso l’approntamento delle strutture che oggettivamente siano in grado di produrre scelte consapevoli – sembrerebbe dire Hippolyte Taine – che si rende possibile mettere in atto un sistema politico che abbia, innanzitutto, la capacità di funzionare.
Oggi, probabilmente, definiremo l’indirizzo politico di Taine come quello di un fautore della cosiddetta “ governabilità”, ma sarebbe una prospettiva limitativa, dal momento che ciò che addita Taine non è semplicemente l’obiettivo della governabilità tout-court, fine a se stessa, quanto, piuttosto, l’approntamento di un sistema delle consapevolezze che possa obiettivamente consentire l’approntamento di una via razionale e scientifica alla conduzione della cosa pubblica. E non può stupire, evidentemente, che una via razionale e scientifica costituisce non semplicemente un mezzo – quale la mera “governabilità” potrebbe apparire – ma un orizzonte decisamente politico ed il profilo stesso, in fondo, di una Wetanschauung.
Il pensiero politico di destra moderata di Taine
Il pensiero di Taine si riassume nella formula “ l’ambiente, la razza, il momento”: con essa intese sottolineare l’importanza dell’influsso delle contingenze storiche, delle premesse antropologiche e del contesto geografico-sociale sul comportamento umano, e quindi, anche nelle opere artistiche. Taine era un filosofo per vocazione, portato dalle circostanze a essere critico e storico. Come critico della letteratura e dell’arte diede, nella prima fase della sua attività, contributi di rilievo che ne consacrarono la fama (Saggi di critica e di storia, Storia della letteratura inglese). L’esperienza traumatica della guerra e de La Comune impressero un altro corso al suo impegno, una conversione alla storia, il progetto di una politica scientifica fonda la sua conoscenza rigoroso dei fatti (”scientifica”) che avrebbe dovuto garantire la rinascita della nazione mediante l’individuazione di rimedi adeguati alla sua natura. Iniziò allora per Taine il tuffo negli archivi e nelle biblioteche per analizzare il processo per il quale era nata la Francia contemporanea. A dispetto della pretesa di scientificità, l’opera di Taine fu passionale e di parte. Alfiere della cultura liberale, laica e progressista prima del ’70, Taine con “Le origini della Francia contemporanea” divenne uno degli indiscussi filosofi della destra alla fine del XIX secolo: la valorizzazione della tradizione e della storia contro gli arbitri e i deliri della ragione, la radicale e virulenta avversione alla rivoluzione e alla filosofia illuministica, l’esaltazione del ruolo delle Elitè, l’insistenza sul peso dei condizionamenti biologici, sono elementi ai quali la destra di Maurrras e di Barrès avrebbe attinto a piene mani.
(relazione Prof. Rosario Pinto – Già Professore Accademia delle Belle Arti di Catanzaro – Studioso del politico-filosofo Hippolyte Taine, Docente all’Università teologica Napoli).
Questo passaggio storico dalla Repubblica e dalla Democrazia alla destra repubblicana è un fondamentale passaggio per capire Taine. Capire questa trasformazione non è certamente semplice ma dal suo libro più conosciuto tra tutti i filosofi “l’Origine della Francia Contemporanea” Taine descrive il Naturalismo facendone prevalere la scientificità dell’analisi della società e sulla sua conoscenza dai fatti alla razionalità è visto proprio come l’approccio e la costatazione verso la Natura e dalla Natura. La natura, dunque, in questo periodo storico, verso il 1870 circa, c’è il crollo dell’idea naturalista e come movimento radicato territorialmente, con l’avvento dell’industrializzazione e della nascita della lotta di classe destra e del socialismo Taine prese posizioni quasi diametralmente opposte alla democrazia dell’epoca. Mentre Zola pur non essendo né democratico e né socialista attivo perchè criticava la democrazia per l’eccesso di corruzione che c’era in quel periodo. Circostanza riscontrata anche da uno studioso come De Sanctis in alcune sue citazioni. Dunque, Taine perché si avvicinò alla Destra e sentì il bisogno di avvicinarsi alla Destra?