La scrittura di Zola tra naturalismo e impressionismo

Laboratorio di traduzione dal francese 
a cura di Donata Feroldi 

Se, come sostiene Meschonnic, il ritmo è l’organizzazione del movimento del discorso da parte di un soggetto e se, come afferma Duras, gli errori musicali (ossia legati alla microfisica del testo) sono i più gravi, come affrontare la traduzione di un autore che trasferisce le tecniche pittoriche dell’impressionismo all’ambito della scrittura narrativa? Quando ci si trova di fronte a un testo, come riconoscere le strategie compositive che hanno presieduto alla sua stesura e, di conseguenza, dettano le regole della sua restituzione in un altro idioma? Émile Zola opera una prima traduzione dalla pittura alla letteratura: uno slittamento di mezzi e di approccio estetico – costruttivo dalla tela alla pagina. Nella necessità di dipingere l’ambiente galante, sfavillante – e corrotto  – del Secondo Impero, si affida alle modalità adottate dai suoi amici impressionisti per esplorare il meccanismo della visione, trovando il loro corrispettivo in un particolare uso della punteggiatura, nella torsione della sintassi e in una precisa scelta e modalità di accostamenti lessicali, in una lingua che cromaticamente evoca più che disegnare, grazie al colorismo vocalico e consonantico. Il traduttore – nella consapevolezza della strategia autoriale – è chiamato a trovarne il corrispettivo nel proprio idioma, secondo le risorse letterarie di cui dispone.  Il seminario – prendendo in considerazione le pagine iniziali di Nanà e de L’Argent – si propone di mostrare come le nozioni di ritmo e di intertestualità, non limitate al semplice terreno della scrittura, ma ampliate ad altri ambiti estetici (in questo caso, la pittura), possano guidare le scelte traduttive, aiutando a dirimere i dubbi e le difficoltà che si presentano nel corso del lavoro, correggendo le storture che potrebbero derivare da un’interpretazione troppo letterale del naturalismo zoliano. 

Donata Feroldi, studiosa di letteratura comparata, traduttrice e lessicografa, ha tradotto e curato, tra gli altri, testi di M. Porete, T. Gautier, P. Morand, P. Drieu La Rochelle, M. Duras, G. Debord e Y. Bonnefoy. Si è occupata a lungo di Victor Hugo: sue le traduzioni di L’Uomo che ride (Mondadori 1999), Notre-Dame de Paris (Feltrinelli 2002), L’ultimo giorno di un condannato (Feltrinelli 2012) e il saggio La chiave della Porta rossa. Leggere Victor Hugo (peQuod 2008). Ha collaborato con le riviste “Arsenal littératures”, “il Gallo silvestre”, “Testo a Fronte”, “Poesia” e “Informazione filosofica”. Suoi contributi teorici sulla traduzione sono presenti nei volumi collettanei Stare tra le lingue (Manni 2003) e Scrivere sul fronte occidentale (Feltrinelli 2002). Ha curato l’edizione italiana della monografia sul Teatro Corporeo di Y. Lebreton (Sorgenti, Titivillus 2012), è autrice del Dizionario Analogico della Lingua Italiana (Zanichelli 2011). Di  Émile Zola ha curato la versione italiana di Nanà (Feltrinelli 2014), La Bestia umana (di prossima uscita nei Meridiani Mondadori) e L’Argent (di prossima uscita negli Oscar Classici Mondadori). 

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Piace quest’articolo perche si ricollega direttamente al Movimento Naturalista, proprio pensare per immagini, creando guardando e’ il giusto abbinamento naturalista. Io riprendo proprio il pensiero di Ungaretti, Carducci, D’Annunzio. Montale particolare naturalista, dove si dice che la punteggiatura rallenta il pensiero, frena e gli artisti sono cosi’ un po’ persi se non saltano il passaggio punteggiatura, C’e’ torsione di sintassi sicuramente, ci si deve sforzare, scelte e modalita’ di accostamenti lessicali un po’ particolari. In parole povere il retroscena di quando si scrive un articolo o un libro c’e’ bisogno che la mente scorra, il pensiero scorra senza farlo frenare. Gli artisti, i geni sono cosi’  e questo vale per la musica, la pittura, la scultura, gli scrittori.  E’ ovvio che a compimento e quando ci si tiene per un lavoro si compiano quei ritocchi che valgono per la punteggiatura  per lo scrittore, le pause per i musicisti, ecc-.

Dunque Ungaretti, Carducci e altri avevano utilizzato un scrittura con poca punteggiatura e particolari scelte di accostamenti lessicali, direi nemici della punteggiatura.