Naturalismo filosofico contemporaneo

Da considerarsi senza dubbio tra le principali e più dibattute tendenze della filosofia contemporanea, il naturalismo auspica, nelle sue versioni più radicali, il rimpiazza mento della filosofia con la scienza, e nelle sue versioni più moderate, l’integrazione della prima con la seconda, sollevando questioni urgenti come: che cosa intendiamo per filosofia? Quali sono i suoi metodi? Pertanto comprendere che cos’è il naturalismo e quali sono le  ragioni pro e contro di esso risulta una impresa irrinunciabile. Il principale obiettivo consiste nell’offrire una lucida e agevole introduzione a una tematica che, imprescindibile sia per il filosofo di professione, sia per il cultore di filosofia, è lungi da risultare indifferente o poco avvincente per tutti coloro che sono interessati allo status e alle sorti di una disciplina che ha profondamente caratterizzato l’intera cultura occidentale. E’ nato, seppur in ritardo, nelle attività politiche per la nascita del Movimento Naturalista.

( Evandro Agazzi – Professore di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova e Presidente dell’Acadèmie Internationale de Philosophie des Sciences. Nicola Vassallo – Dottore di ricerche dedito a questioni teoriche e storiche nell’ambito dell’epistemologia, della teoria della conoscenza, della metafisica e della filosofia della logica).

La politica del naturalismo contemporaneo

E’ stato detto che non c’è niente di più culturale dell’idea di natura. Nondimeno esistono situazioni che sono per definizione naturali o più naturali di altre. Ciò che è considerato naturale viene giudicato più “buono”, più “sano”, più “giusto”, più “sicuro”.

Nel momento in cui sorge la questione di cosa sia naturale  e cosa non lo sia è ovvio che si pone subito il problema di chi abbia o meno il titolo per decidere. Ovvero se spetti alla politica, alla religione o alla scienza. Dovrebbe essere la scienza anche se è stata messa sotto accusa per i suoi metodi quale minaccia per la libertà e la dignità dell’uomo, in quanto le sue dottrine metterebbero in discussione la natura spirituale o metafisica della cosiddetta “creatura”, mentre altre diffonderebbero l’idea che l’uomo può conoscere e quindi disporre dei processi vitali naturali. L’uomo, dunque, cercherebbe di imitare Dio riuscendo, però, solo a distruggere i valori morali e civili tradizionali tramandati dalle religioni. Portando in tal modo la questione su problemi irrisolti che riguardano la natura della religione e della morale nonché ovviamente del diritto.

Si può dire, come sostiene Gian Enrico Rusconi, che “la natura umana è …laica”? lo sforzo di Rusconi di rendere compatibili le filosofie tradizionali è di grande interesse e spessore intellettuale.

I suoi scritti riguardano il rapporto fra la tradizione del pensiero religioso, morale e politico, e la scienza. Ovvero la questione del naturalismo e delle sue conseguenze. Alla luce delle scoperte della biologia evoluzionistica, egli si chiede cosa rimanga delle tradizionali credenze religiose. La verità religiosa è che la natura umana è un progetto divino, e quindi reca in sé i diritti fondamentali che la struttura laica della società non deve fare altro che accogliere nella sua legislazione.

Per Rusconi la visione laica è più universalistica, ma deve guardarsi da certe derive del naturalismo. Infatti ci sarebbe un naturalismo scientifico che considera fondate solo le scienze naturali e un naturalismo liberale che difende il pluralismo concettuale.

E’ ormai un leitmotiv l’idea che il naturalismo riduzioni stico implicherebbe una concezione deterministica e quindi metterebbe in discussione l’idea di libertà umana.

Per Giovanni Jervis, “ è tipico del pensiero laico non già il fondarsi su un credo ma il discutere l’applicabilità di una serie di orientamenti riguardanti problemi di convivenza”. Perché “il pretendere di sacralizzare questi orientamenti fino a congelarli in una serie di principi non conduce a buoni esisti”. Ma Jervis ritiene che l’orientamento darwiniano sia materialista “. Jervis si muove con disinvoltura nella letteratura neurospicologica che ha scavato a fondo nelle nostre predisposizioni naturali, e non dà prova di nessun ossequio verso il “politicamente corretto”. Per Jervis, dunque, la questione centrale del tempo che stiamo vivendo è la reazione culturale in risposta al nuovo naturalismo e alle sue conseguenze. Egli illustra come le scoperte scaturite dalla neuroscienza e dalla psicologia sperimentale hanno significativamente modificato le idee tradizionali di natura umana. Si è scoperto che non siamo tanto buoni, né mediamente così intelligenti né tanto meno razionali quando prendiamo decisioni nel contesto della quotidianità. Visto che le emozioni giocano un ruolo importante e che l’educazione è essenziale, anche se insufficiente, per tenere a bada impulsi egoistici o antisociali.

Ormai queste cose le sanno tutti. Ma la maggior parte degli intellettuali e politologi continuano ad ignorarle. Jervis affronta proprio le implicazioni per la teoria e l’azione politica delle nuove conoscenze sui limiti della razionalità e della bontà umana. Ci sono una serie di sensatissime argomentazioni circa il fatto che l’esistenza  e la sopravvivenza della democrazia dipendono da delicati equilibri, che possono essere destabilizzati dalla ricerca e dall’imposizione politica di certezze e di valori assoluti. Come stanno facendo in pratica i politici italiani che impongono, alla faccia della Costituzione e dei suoi principi, a tutti i cittadini proprio quei valori che le gerarchie cattoliche giudicano “non negoziabili”. L’unico antidoto inventato dalla cultura per superare l’inganno e l’illusione della natura umana è l’educazione scientifica che attraverso la conoscenza e la tecnica possiamo comprendere l’origine dei nostri limiti così da evitare di finire nelle mani di qualche impostore.

(Gilberto Corbellini – La politica del naturalismo – Giovanni Jervis – Pensare diritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali – Bollati Boringhieri – Torino).

Il naturalismo politico

Il Liberatore evidenzia che la sostanza del modernismo è da scorgersi nel naturalismo. Il naturalismo equivale alla teorizzazione della natura come dato autosufficiente e come tale estraneo alla grazia. Il naturalismo separando la natura della grazia, afferma istantaneamente la natura come impenetrabile rispetto alla grazia. Di modo che attribuisce l’essere alla natura, mentre pone la grazia nel non essere (non essere reale o non essere vincolante). La premessa del naturalismo moderno è data dalla scissione tra natura e grazia, ed omologamente, tra ragione e fede. Si tratta di una frattura che non si dà propriamente come conclusione epistemologica ma come posizione aprioristica, la quale afferisce al piano del volere in atto. Ne consegue una natura che esclude la grazia (simmetrica a una grazia che si oppone alla natura). Il naturalismo moderno trova il suo momento sorgivo non solo nella teorizzazione della natura delle nature come totalità assoluta e principio a sé medesima, ma anche come presupposizione di una natura fine a se stessa ed estranea ad ogni ordine che la trascende. Il naturalismo costituisce un’opzione filosofica, piuttosto che una conclusione teoretica. Esso si dirama da ogni ordine dell’essere, del conoscere e dell’agire. La rigorizzazione del naturalismo filosofico si compie nel monismo panteistico, ove la natura è il tutto, nell’unità assoluta di se medesima, identificata con la totalità del’essere ( e delle sue manifestazioni). Il naturalismo filosofico costituisce la base e la sostanza del naturalismo politico. Il filosofo politico distingue due gradi del naturalismo politico: il primo separa lo spirituale rispetto al temporale, e lo confina nel privato; il secondo ritiene puramente opzionale l’ordine soprannaturale e pertanto non vincolante per se stesso. L’uno differisce dall’altro non nel genere, ma solo nella radicalità di espressione della medesima attitudine. Ad essi sono simmetrici i due gradi del naturalismo filosofico. Il primo si dà sotto il versante epistemologico, il secondo sotto quello metafisico. Quello che esclude pregiudizialmente la possibilità stessa di una conoscenza che attinga il proprio contenuto ad un ordine superiore a quello dell’esperienza; questo sfocia nell’ateismo. La questione del naturalismo politico non riguarda semplicemente la relazione tra ordine civile e dato religioso. Essa si configura come essenziale per la fondazione stessa di qualsivoglia ordinamento giuridico-politico e dell’obbligazione ( e della lealtà) dovuta nei suoi confronti. Nella visuale naturalistica il diritto si fenomenizza nell’attuazione del volere del sovrano. Al diritto subentra la tirannia della pubblica opinione che si tratta sia dell’opinione effettivamente prevalente, sia dell’opinione che si impone attraverso i mezzi di comunicazione. L’imporsi della forza del numero o l’imporsi del potere dei mezzi di comunicazione introduce una tirannia senza limiti. Perciò capace di far proprio qualsiasi disegno. La legislazione e il governo finiscono per esserne un prodotto, necessariamente provvisorio e mutevole. Il conformismo (sociologico) dei comportamenti e l’imporsi (politologico) dei gruppi ne costituiscono risultanti empiriche conseguenti.  Insomma, assunto il naturalismo politico, alla normatività del diritto (come determinazione del giusto) subentra la tirannia del fatto compiuto, ovvero l’imporsi del dominio, senza altra legittimità che la sua capacità di dominare. Il prevalere dossocratico si sostituisce al discernimento razionale agatologico. In sostanza il naturalismo politico si condensa nell’immanetismo politico. In questa prospettiva nulla trascende la natura nella sua presenza a se medesima. Nessun principio si eleva al di là del fatto. E’ chiaro che il naturalismo politico sostiene la separazione della Chiesa dallo Stato. Tale separazione è l’epifania di una duplice separazione: quella tra il fine dello Stato e il fine dell’uomo in quanto tale, e quella tra il cittadino e l’uomo. Dal naturalismo politico consegue che l’uomo è separato dal cittadino: il cittadino è tale quale lo Stato lo costituisce (alle condizioni che esso pone e di cui dispone); l’uomo resta confinato nello spazio non regolamentato dallo Stato (ove finisce per essere costitutivo della sua identità). Allorchè l’istanza morale e quella legale si trovano in contrasto, ciascuno finisce per essere separato in se stesso. Nella logica dello Stato moderno il cittadino non può che assorbire l’uomo. Mentre l’uomo sarebbe tale solo nel supposto stato di natura, il cittadino è chiamato a pensare e a volere come pensa e come vuole lo Stato. Coerentemente il naturalismo politico si sostanzia nel positivismo giuridico. L’ordinamento giuridico esprime null’altro che il volere del sovrano (ovvero lo Stato). Nessun diritto è riconoscibile come ad esso anteriore. Neppure i diritti che derivano dai doveri dei genitori nei confronti dei figli. La famiglia (piuttosto che essere riconosciuta come comunità naturale) è posta come derivata dall’ordinamento statale. Liberatore conclude che nella logica del naturalismo politico, il passaggio dal liberalismo al comunismo è tutt’altro che contraddittorio. Anzi ne costituisce uno sviluppo coerente. La società, vi è intesa piuttosto che come comunità di comunità (o come famiglia di famiglia), come somma di individui, unificati nella e dalla unità statale (come esemplarmente è teorizzato nel Contract social di Rousseau). L’individualismo, che costituisce il presupposto del naturalismo politico, vi si risolve nell’unitarismo statalistico. Non vi è quindi un fine proprio della comunità politica, iscritto nella sua stessa natura e che coincide con il fine stesso del soggetto umano, in quanto tale. Gli obiettivi che essa dovrà conseguire  sono posti  convenzionalmente dal potere sovrano, che – proprio in quanto tale – potrà fissarli secondo il proprio arbitrio.

(Matteo Liberatore – Il naturalismo politico – a cura di Giovanni Turco –  Edizioni Ripostes – Giffoni Valle Piana – 2016 – Biblioteca del Senato).