Taine: il naturalismo tra psicologia, sociologia e politica: la dottrina

Nietzsche individua nello Stendhal, psicologo e analista, quale veniva letto in quegli anni, il rappresentante più vivo di una linea forte che partiva dagli idéologues. Erede privilegiato di questa tradizione è Taine, “l’audacieux briseur des idoles de la métaphysique officielle” secondo il giudizio di Bourget, e l’immagine è significativa per Nietzsche. Per alcuni tratti del suo nichilismo scientifico, Taine appare capace di far fronte alla malattia europea della volontà incarnata dal dilettantismo voluttuoso di Renan (“ce mal de douter même de son doute”), ma anche dalla curiosità plebea e senza pudore del romantico Sainte-Beuve (appartiene anch’egli al “popolo dei deboli di volontà” e quindi avversa Stendhal: cfr. 26[379] 1884) da ogni cattivo gusto istrionico e demagogico, dall’ idealismo della debolezza Indubbiamente l’immagine che Nietzsche ha di Taine deve molto al ritratto tracciato da Bourget: solida energia del carattere, invincibile rigore nella interna disciplina, ascetismo della scienza («la sincerité implacable de la pensée») ed, in ultimo, nichilismo radicale e coraggioso. Nella terza parte della Genealogia della morale Nietzsche pensa principalmente a Taine quando valorizza la “pulizia intellettuale” di «spiriti duri, severi, temperanti, eroici, che costituiscono l’onore della nostra età», i rappresentanti estremi dell’ultima maschera dell’ideale ascetico: la fede nella “verità” e nella scienza. «Taine, è l’uomo della verità, è la veracità in persona» – affermava lo stesso Renan a memoria di Brandes. Da Taine e da Bourget Nietzsche deriva la teoria psicologica — a cui più volte si riferisce a partire dal 1885 — dei “petits faits”, dei “petits faits vrais”. Ancora una volta si deve risalire a Stendhal: lo scrittore francese che vede il romanzo come una “psicologia vivente” (Taine), adopera l’espressione “petits faits vrais”. Taine, mostra, già nella prefazione a  De l’intelligence, come “le moi” sia costituito da una serie di “piccoli fatti”. La psicologia diviene una scienza dei fatti,… des “petits faits” La dissoluzione del soggetto classico e dell’anima come “atomon” (“c’est à l’âme que la science va se prendre…”) è il tema centrale della nuova scienza psicologica.Bourget commenta queste frasi di Taine: «“È all’anima che essa si volge, munita di strumenti esatti e penetranti di cui trecento anni d’esperienza hanno provato la giustezza e misurato la portata. Essa porta con sé un’arte, una morale, una politica, una religione nuova, ed oggi è nostra preoccupazione cercarle!…”[1] Con quale fiducia egli assegna il fine ideale di tutta la ricerca alla “scoperta dei piccoli fatti, ben scelti, importanti, significativi, ampiamente circostanziati e minuziosamente conosciuti!”[2]. E si comprende che l’allora nuova generazione, di cui egli esprimeva la fede profonda con formule precise come un assioma di matematica e vibranti come le strofe di un inno, avesse riconosciuto in luil’iniziatore, l’uomo che vedeva la terra promessa e ne raccontava in anticipo gli svecchiamenti, le misteriose delizie» Nietzsche intravede la possibilità che la morte dell’anima-atomon – espressione di un bisogno metafisico – non significhi affatto il tramonto dell’ipotesi anima bensì l’apertura di una strada verso «nuove forme e raffinamenti» della sua ipotesi: «concetti come “anima mortale” e “anima come pluralità del soggetto” e “anima come struttura sociale degli istinti e delle passioni” vogliono avere, sin d’ora, diritto di cittadinanza nella scienza» (JGB 12). Qui il filosofo si muove coerente con le analisi di Bourget e della nuova psicologia francese per cui la distanza dalla psicologia “classica” e metafisica non significa affatto riduzione fisiologica-materialistica : «Ammettendo che i piccoli fatti che costituiscono l’io, possano essere studiati con le procedure del metodo sperimentale e, di conseguenza, che la fisiologia è una scienza, Taine si separa dalla scuola materialista, la quale riduce esattamente tutta lo studio dell’anima ad un capitolo di fisiologia. Taine ha visto molto bene che un fenomeno di coscienza, un’idea per esempio, è la causa di un’altra serie di fenomeni di coscienza, qualunque sia la modificazione fisiologica corrispondente. Pertanto, quand’anche noi facessimo dell’anima una semplice funzione del cervello, ne dovremmo tuttavia studiare la vita interiore come vita interiore e, dal punto di vista del pensiero, in quanto pensiero. […] Dal punto di vista di Taine, tutto nell’esistenza dell’uomo interessa lo psicologo ed è oggetto di documentazione. Dal modo di arredare una stanza e di preparare una tavola, sino alla maniera di pregare Dio e d’onorare i morti, non c’è niente che non meriti d’essere esaminato, commentato, interpretato, perché non c’è niente in cui l’uomo non abbia impegnato qualche cosa del suo intimo essere»  Per Nietzsche “l’anima umana e i suoi confini”, la sua storia e le sue non esaurite possibilità, è la predestinata “zona di caccia” per lo psicologo (JGB 45). Bourget parla di un “atto di fede in questa realtà oscura e dolorosa, adorabile e inesplicabile, che è l’Anima umana» nella sua prefazione ai Nouveaux Essais[3]e negli Essais: «L’opera dello psicologo … consiste nel mettere in risalto con qualche tratto incisivo il percorso di una malattia d’anima. Nell’io non vi è nulla di reale “sauf la file de ses événements”, l’io altro non è che la composizione e la scomposizione di sensazioni, percezioni, impulsi, «un flusso e un fascio di vibrazioni nervose». “Le moi visible est incomparablement plus petit que le moi obscur” (H. Taine, De l’intelligence, p. 7). La realtà psicologica è molteplicità: la nostra personalità cosciente — o meglio: la coscienza che ciascuno di noi ha del suo stato attuale connesso a stati anteriori — non può mai essere che una debole porzione della nostra personalità rispetto a quella che resta affondata in noi: “nous sommes obscurs à nous-même, notre vraie personne s’agite, s’ingénie, s’accroît, dépérit en nous à notre insu”[4]. E Nietzsche, più volte, e con particolare forza all’inizio della Genealogia: “Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi”.

La teoria dei “petits faits vrais” – alla base di queste teorie psicologiche – si trova esplicitata in più lettere di Stendhal, citate da Bourget, Réflexions sur l’art du roman, cit. p. 266. Ricordiamo anche il titolo di un tardo romanzo di Bourget (Paris, Plon 1930): De petits faits vrais con richiamo specifico, fin dal motto e dalla prefazione, alla “table des Beylistes”. Nietzsche utilizza, talvolta con ironia, l’espressione di Stendhal raccontando aneddoti o fatti significativi, capaci di definire un carattere o una situazione. Lo stesso Taine rivela esplicitamente la sua fonte: «Le perfectionnement nouveau consiste à laisser là l’a priori, la philosophie pure et déductive, les méthodes mathématiques  […] C’est ce qui fait la littérature depuis Balzac et les observateurs du détail significatif; c’est la théorie du petit fait (Stendhal)». Bourget mostra come il pessimismo sia “l’ultima parola dell’intera opera” di Taine come di quella dei “naturalisti” che costruiscono i loro romanzi d’analisi e la loro letteratura di inchiesta, accumulando “documents significatifs” “documents humains”. L’impotenza contro “le forces trop écrasantes” è il risultato di un determinismo senza scampo.  La stessa definizione della teoria tainiana inviluppa in sé «il germe del più cupo e inguaribile nichilismo». Nietzsche reagisce a questo «fatalismo dei “petits faits” (“ce petit faitalisme”, lo chiamo io)»(GM III, 24) che caratterizza ogni positivismo che si inginocchia davanti ai “petits faits”: un’estrema forma di ascetismo, di fronte alla religione della scienza, che esprime sfiducia nell’avvenire e senso della decadenza: “A Parigi si soffre come per freddi venti autunnali, come per una gelata di grandi delusioni, come se venisse l’inverno, l’ultimo definitivo inverno…”(35[34] 1885 Si veda anche GD, Scorribande di un inattuale, 9) “«Il miglior frutto della scienza è la rassegnazione fredda, che, pacificando e preparando l’anima, riduce la sofferenza al dolore del corpo» – scriveva Bourget, citando Taine.

La critica di Nietzsche è rivolta, soprattutto alla teoria tirannica del milieu e alla presunta “oggettività” di Taine che nasconde la sua preferenza per i “tipi forti ed espressivi”, per “coloro che godono, più che per i puritani” (26[348], 1884). Nietzsche certo trova elementi di consonanza con Taine: la perfetta salute come equilibrio di forze (Goethe come modello), la valorizzazione della cultura greca, l’ammirazione per i “mostri di forza”, dai “condottieri” del Rinascimento a Napoleone, ecc.

Gli Essais di Bourget  – che intervengono nei giudizi di Nietzsche su Stendhal e Taine – aprono al filosofo la possibilità di definire una serie di tematiche della crisi attraversando personaggi centrali e sintomatici: dal suo ‘viaggio a Cosmopolis’ – la cultura parigina espressa dallo psicologo alla moda –  ricava numerosi spunti dei quali si serve per analizzare la crisi sociale e dei valori, valutando le tendenze letterarie come sintomi di un più generale stato di salute di una intera civiltà.

Come romanziere, Bourget deriva il suo primo e forte impulso da Balzac: il romanzo è  la diagnosi dei mali della società francese, è saggio di psicologia e sociologia. Parigi, la “vie parisienne”, per Nietzsche e per Bourget, rappresentano il centro della décadence e il luogo privilegiato della sua analisi. E la stessa, estrema, volontà di critica (fino alla “vivisezione”) è “une débauche comme une autre” (Cosmopolis), espressione di decadenza e di usura fisiologica: la realtà viene meno, la vita spontanea cede il posto alla riflessione, al pensiero astratto. C’è un rapporto diretto tra la “psicologia” di Bourget e le “fisiologie” di Balzac degli abitanti della metropoli volte a cogliere i sintomi di usura psicologica e fisiologica . Balzac “anatomiste”, abituato alle sale di dissezione, sa comunque dipingere come nessun altro, per Taine, “les monstres grandioses”, le nuove “bête de proie, petites ou grandes”.  Taine, divenuto emulo di Balzac, nelle Notes sur Paris. Vie et opinions de M. Frédéric-Thomas Graindorge esercita l’ozio dello psicologo (“Pour moi, je vais dans le monde comme au théâtre, plus volontiers qu’au théâtre”) nell’analisi pessimista delle forme di vita della grande città e delle diverse maschere della società moderna.

Questa immagine ha la sua origine nella metafora di Balzac su Parigi “foresta vergine”. Nietzsche fa un riferimento esplicito a questo romanzo in un frammento postumo della primavera-autunno 1884 (25[112]).

Parigi appare – la metafora torna più volte in Nietzsche – una “serra” dove si producono in condizioni artificiali piante umane diverse, fino a quelle tropicali. In Parigi, scriveva Taine, «chaque amour-propre devient colossal» «trop de travail et trop de plaisirs: Paris est une serre surchauffée, aromatique et empestée, au terreau âcre et concentreé, qui brûle ou durcit l’homme […] Le public est blasé, il faut crier trop haut pour qu’il écoute. Chaque artiste est comme un charlatan que la concurrence trop âpre oblige à forcer sa voix». In Bourget: la perdita di un centro, la mancanza di un istinto dominante capace di ordinare, la “malattia della volontà” come le mal du siècle, vengono letti negli intellettuali-guida della Francia, come il bilancio di una intera generazione. C’è il sentimento generale di vivere in un periodo di radicale crisi dei valori, in una società condannata a morte.

In Nietzsche l’ambivalente atteggiamento verso la decadence significa la volontà di una “grande salute”: “ avere tutti i caratteri morbosi del secolo, ma equilibrarli in una straricca forza plastica, ripristinatrice”.

(da Testi e opere di Nietzsche)

Questi sono i riferimenti attinenti la questione del pensiero di Taine in relazione all’approccio del naturalismo alla psicologia e non alla sociologia.  Infatti se diamo uno sguardo alle indicazioni di Ulrich Schultz-Buschhaus in “Linee e tendenze della sociologia della letteratura”: II est cru, trivial, et pétrit ses figures en pleine boue. Tout en restant grand seigneur, il est peuple; sa superbe unit tout. Que les bourgeois épurent leur style, prudemment, en gens soumis à l’Académie; il traîne le sien dans le ruisseau, en homme qui méprise son habit et se croit au-dessus des taches. (scoperta di Saint-Simon).

Questo passo è evidentemente molto lontano dall’immagine corrente che abbiamo del positivismo. Se ne discosta non soltanto per l’interesse portato alle minuzie dello stile, ma anche per una certa audacia speculativa, audacia della mediazione fra i codici della scrittura e quelli del comportamento sociale (riunendo in questo caso entrambi sotto il concetto della «sprezzatura aristocratica»). A questo proposito, è forse utile fare un accenno all’uso del concetto di positivismo. Proporrei una distinzione fra positivismo in senso tipologico e positivismo in senso storico. Il concetto per così dire tipologico si usava molto anni 60 e 70, nell’ epoca del cosiddetto «Positivismus-Streit» (Adorno vs Popper): teoria critica, scuola di Francoforte contro le scienze sociali in senso empirico-analitico. Il positivismo storico (Comte, Taine) invece si contraddistingue proprio per la sua audacia speculativa, un po’ seguendo le tracce di Hegel.

Molto più vicina ad un positivismo, inteso in senso tipologico, si è sempre trovata invece la sociologia dei lettori o più generalmente del pubblico. Essa è stata elaborata decenni più tardi, seguendo i progressi della sociologia come scienza empirico-analitica, applicata prevalentemente ai fenomeni della società e della letteratura contemporanea. (mentre la sociol. dell’autore si interessava di preferenza ai grandi momenti storici del passato). Possiamo individuare il suo contributo più rappresentativo forse nei lavori di Robert Escarpit e della cosiddetta scuola di Bordeaux che, colla loro enfasi sui soli fatti (les «faits littéraires»), cercano di realizzare un ideale epistemologico soltanto abbozzato dal positivismo ottocentesco.

Non sapremmo discutere sulla priorità del fattore economico, politico, religioso, culturale, se non fosse avvenuto un processo storico che avesse dato a questi fattori una loro specificità, cioè una loro relativa autonomia. Con altre parole: la discussione sulla priorità di un sistema sociale in rapporto a altri sistemi sociali è una discussione specificamente moderna, perché presuppone un processo di divisione, di ‹Ausdifferenzierung› di diversi sistemi sociali.

Ogni discorso sul ruolo basale di questo o di quell’altro livello di realtà ha dunque come premessa la possibilità di distinguere fra una pluralità di livelli (p.es. la separazione fra funzioni religiose e funzioni politiche).

(ULRICH SCHULZ-BUSCHHAUS Das Aufsatzwerk  Institut für Romanistik | Karl-Franzens-Universität Graz Permalink: http://gams.uni-graz.at/o:usb-072-359).