Introduzione al naturalismo filosofico contemporaneo

Da situarsi senza dubbio tra le principali e piu’ dibattute tendenze della filosofia contemporanea, il naturalismo auspica nelle sue versioni piu’ radicali, il rimpiazza mento della filosofia con la scienza e, nelle sue versioni piu’ moderate, l’integrazione della prima con la seconda, sollevando questioni urgenti:” che cosa intendiamo per filosofia? Quali sono i suoi metodi?”, “ il nucleo di entita’, valori, ideali e norme che essa propone e’ difendibile?, la filosofia e’ destinata a scomparire?”. Pertanto comprendere che cos’e’ il naturalismo e quali sono le sue ragioni pro e contro di esso risulta impresa irrinunciabile.

Naturalismo e’ un concetto  che non ha un significato univoco e che non e’ neppure stato coniato di recente. Accanto al problema filosofico di chiarire un tale significato esiste, dunque, anche quello storico-genetico in seno agli storici della filosofia, relativamente alla prima comparsa in essa di tendenze naturalistiche. Cosi’, da una parte, alcuni riportano la nascita del naturalismo alla stessa origine della filosofia occidentale, ovvero ai presofisti – si pensi alla loro concezione della “natura”-, e rintracciano una o piu’ vene marcatamente naturalistiche non solo nell’antichita’, ma anche nel rinascimento e in epoca moderna ( distinguendo tra naturalismo razionalistico e naturalismo illuministico), mentre dall’altra si situano coloro che giustificano il naturalismo come corrente di pensiero legata in modo particolare alla cultura del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Si puo’ giustificare la posizione dei primi se, con naturalismo, si indica un contenitore atto a raccogliere tutte quelle posizioni filosofiche che sostengono una metafisica secondo la quale non si da’ autentica esistenza  se non di cio’ che appartiene alla natura e la mondo naturale. Si puo’ giustificare la posizione dei secondi se si qualifica come naturalista ogni filosofia che accetti come unici strumenti per indagare il reale i metodi offertici dalle scienze naturali. Nonostante l’ambiguo significato di “natura” e di “ mondo naturale”, se si accetta la prima accezione di naturalismo si possono indubbiamente rintracciare posizioni naturalistiche nell’intero corso della storia della filosofia. Se si accetta la seconda accezione e’ lecito invece ammettere che non puo’ proporsi alcun naturalismo criticamente fondato prima della nascita delle scienze naturali e dei metodi che esse ci offrono. Ma cio’, ovviamente, non impedisce l’esistenza di discussioni piuttosto accese non solo dal punto di vista storiografico ma anche dal punto di vista filosofico. Discussioni che si riflettono sulle questioni dell’origine e dell’essenza del naturalismo. A livello meramente storiografico sussiste ad ogni modo un discreto accordo sulla forte presenza del naturalismo negli ultimi due secoli, favorita dai considerevoli progressi delle scienze. Per quanto concerne l’Ottocento, basti menzionare l’impronta marcatamente scientista di note filosofie la quale si esplica nelle tendenze psicologistiche in seno alla filosofia della logica o nella forte aderenza del positivismo alla teoria evoluzionistica. Per quanto concerne il Novecento, il naturalismo caratterizzo’ ampi settori del panorama filosofico come testimoniano le pubblicazioni di coloro che intendevano proporsi quali rappresentanti di questa dottrina, per esempio: G. Santayana, J. Dewey, A.N. Whitehead, R.W. Sellars, M.R. Cohen, F.J.E. Woodbrige, D. Drake. Paradossalmente, invece, il naturalismo attraverso’ un periodo di declino in concomitanza con l’affermarsi del neopositivismo logico. Infatti lo spirito del neopositivismo e’ quello di un interesse quasi esclusivamente logico-metodologico per la scienza, attento per di piu’ alla sua struttura linguistica, piuttosto che ai suoi contenuti, il che fece presto dileguare le proposte “naturalistiche” di un Reichenbach, e lo stesso ‘fisicalismo” carnapiano non ebbe il senso di un appello fondazionale ai contenuti della fisica, bensi’ di un riferimento metodologico al suo linguaggio. Successivamente W.V.O, Quine riporta in auge il naturalismo, rifacendosi ad un solo neopositivista, O. Neurath, e prediligendo di questi la metafora del filosofo e dello scienziato che si trovano sulla stessa nave, senza che al primo conferisca un compito essenzialmente diverso o privilegiato rispetto al compito del secondo. Neurath a parte Quine interpreta il naturalismo contrapponendolo al neopositivismo, ed in particolare, constatando il fallimento del suo programma empista cosi’ come interpretato da uno dei suoi piu’ illustri esponenti, ovvero da R. Carnap:” l’impossibilita’ di fondare la scienza naturale sull’esperienza immediata in un mondo saldamente logico venne riconosciuta. La cartesiana ricerca della certezza era stata la motivazione remota dell’epistemologia sia per la parte concettuale che per quella dottrinale; ma quella ricerca fu vista come una causa persa”. La corrente di pensiero qual’e’ appunto il naturalismo si stese a macchia d’olio in molta della cosiddetta filosofia analitica, fino ad assumere in essa un peso preponderante e da richiedere pertanto un’adeguata attenzione anche da parte di coloro che non si sentono affini ad essa. La comprensione del naturalismo risulta irrinunciabile non solo ai fini di chiarire in che cosa esso consiste e ai fini di valutare la plausibilita’ o meno di esso, ma anche perche’ il naturalismo, proponendo nelle sue versioni piu’ forti di rimpiazzare varie discipline filosofiche con le scienze, e nelle sue versioni piu’ deboli di integrare le prime con le seconde, rinvia a  domande essenziali e imprescindibili quali “che cosa intendiamo per filosofia?, “quali sono i suoi metodo?”, “il nucleo delle entita’, valori, ideali e norme che essa propone e’ convincente e/o puo’ mantenersi in un quadro naturalistico?”, “il naturalismo decreta o meno la fine della filosofia?”.

La giustificazione naturalistica del metodo scientifico Barrotta-Pera

In filosofia della scienza, il naturalismo si caratterizza per il suo intendimento di offrire una giustificazione empirica delle regole del mondo scientifico. Per il naturalismo, infatti, vi e’ una stretta analogia tra le teorie scientifiche  e le regole metodologiche non possono essere giustificative a priori. Questo compito dove essere assolto dall’indagine empirica, che riguarda la concreta pratica scientifica, sia passata sia contemporanea. In tempi recenti, vi e’ stata una rinascita di interesse per la concezione naturalistica del metodo scientifico. Cio’ contrasta con i severi giudizi che sono stati dati in passato nei suoi confronti. E’ interessante comprendere le ragioni di cio’. Poiche’ la rinascita del naturalismo e’ stata possibile solo grazie ad una sua riformulazione, tale da risolvere i problemi che gli studiosi giustamente gli addebitavano. Questi sostenevano che le regole del metodo scientifico dovessero essere giustificate in base al fine della scienza. Una giustificazione cioe’ del metodo scientifico che avesse la forma di un imperativo ipotetico:” se sei d’accordo sul fine della scienza allora devi accettare l’insieme delle regole proposto”. Solo da una simile definizione di scienza empirica, e dalle decisioni metodologiche che dipendono da questa interpretazione di scienza empirica, lo scienziato sara’ in grado di vedere fino a che punto essa si conformi alla sua idea intuitiva della meta verso la quale tendono i suoi sforzi”. Poiche’ le regole metodologiche sono giustificate dal fine della ricerca scientifica, esse hanno una natura normativa, e dunque non possono essere considerate asserzioni sui fatti.  Da cio’: in che modo uno o piu’ fatti possono da soli giustificare una norma? Ogni tentativo di giustificare le norme metodologiche mediante asserzioni esclusivamente fattuali sembrerebbe condurre a commettere cio’ che in filosofia viene chiamata la fallacia naturalistica. Hume  defini’  il concetto di fallacia naturalistica:”la moralita’ non consiste in nessun dato di fatto che si possa scoprire con l’intelletto”. Percio’ una volta accettata la natura normativa delle regole metodologiche, la giustificazione naturalistica del metodo scientifico sembrerebbe condannata al fallimento. Tuttavia, grazie  alla scuola di Larry Laudan si e’ assistito alla rinascita del naturalismo che ha proposto una versione del naturalismo in grado di evitare la fallacia, in quanto il suo naturalismo trova sostegno nelle difficolta’ che nascono all’interno delle piu’ tradizionali giustificazioni aprioristiche della metodologia scientifica.  L’argomento con cui Laudan riesce a conciliare la natura normativa delle regole metodologiche con il naturalismo e’ allo stesso tempo semplice e fecondo. Egli propone di considerare razionalmente accettabili solo gli imperativi ipotetici che risultino garantiti dall’enunciato dichiarativo:” se agisci seguendo un certo insieme di regole ® raggiungerai il tuo scopo (s) come maggiore probabilita’ rispetto agli insiemi di regole alternativi ad ‘r’. Cioe’ dovremmo adottare quelle regole che si dimostrano piu’ idonee (carattere naturalistico) a raggiungere il fine prescelto.

In tale scritto possiamo vedere dunque come il naturalismo si confronta e si contempera positivamente sia con la filosofia che con le scienze metodologiche. Il Naturalismo,  quindi, come la dottrina più bella e completa.

( Introduzione al naturalismo filosofico contemporaneo – a cura di E. Agazzi e N. Vassallo – Franco Angeli Editore – Biblioteca Camera dei Deputati).

Naturalismo filosofico contemporaneo

Da considerarsi senza dubbio tra le principali e più dibattute tendenze della filosofia contemporanea, il naturalismo auspica, nelle sue versioni più radicali, il rimpiazza mento della filosofia con la scienza, e nelle sue versioni più moderate, l’integrazione della prima con la seconda, sollevando questioni urgenti come: che cosa intendiamo per filosofia? Quali sono i suoi metodi? Pertanto comprendere che cos’è il naturalismo e quali sono le  ragioni pro e contro di esso risulta una impresa irrinunciabile. Il principale obiettivo consiste nell’offrire una lucida e agevole introduzione a una tematica che, imprescindibile sia per il filosofo di professione, sia per il cultore di filosofia, è lungi da risultare indifferente o poco avvincente per tutti coloro che sono interessati allo status e alle sorti di una disciplina che ha profondamente caratterizzato l’intera cultura occidentale. E’ nato, seppur in ritardo, nelle attività politiche per la nascita del Movimento Naturalista.

( Evandro Agazzi – Professore di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova e Presidente dell’Acadèmie Internationale de Philosophie des Sciences. Nicola Vassallo – Dottore di ricerche dedito a questioni teoriche e storiche nell’ambito dell’epistemologia, della teoria della conoscenza, della metafisica e della filosofia della logica).

La politica del naturalismo contemporaneo

E’ stato detto che non c’è niente di più culturale dell’idea di natura. Nondimeno esistono situazioni che sono per definizione naturali o più naturali di altre. Ciò che è considerato naturale viene giudicato più “buono”, più “sano”, più “giusto”, più “sicuro”.

Nel momento in cui sorge la questione di cosa sia naturale  e cosa non lo sia è ovvio che si pone subito il problema di chi abbia o meno il titolo per decidere. Ovvero se spetti alla politica, alla religione o alla scienza. Dovrebbe essere la scienza anche se è stata messa sotto accusa per i suoi metodi quale minaccia per la libertà e la dignità dell’uomo, in quanto le sue dottrine metterebbero in discussione la natura spirituale o metafisica della cosiddetta “creatura”, mentre altre diffonderebbero l’idea che l’uomo può conoscere e quindi disporre dei processi vitali naturali. L’uomo, dunque, cercherebbe di imitare Dio riuscendo, però, solo a distruggere i valori morali e civili tradizionali tramandati dalle religioni. Portando in tal modo la questione su problemi irrisolti che riguardano la natura della religione e della morale nonché ovviamente del diritto.

Si può dire, come sostiene Gian Enrico Rusconi, che “la natura umana è …laica”? lo sforzo di Rusconi di rendere compatibili le filosofie tradizionali è di grande interesse e spessore intellettuale.

I suoi scritti riguardano il rapporto fra la tradizione del pensiero religioso, morale e politico, e la scienza. Ovvero la questione del naturalismo e delle sue conseguenze. Alla luce delle scoperte della biologia evoluzionistica, egli si chiede cosa rimanga delle tradizionali credenze religiose. La verità religiosa è che la natura umana è un progetto divino, e quindi reca in sé i diritti fondamentali che la struttura laica della società non deve fare altro che accogliere nella sua legislazione.

Per Rusconi la visione laica è più universalistica, ma deve guardarsi da certe derive del naturalismo. Infatti ci sarebbe un naturalismo scientifico che considera fondate solo le scienze naturali e un naturalismo liberale che difende il pluralismo concettuale.

E’ ormai un leitmotiv l’idea che il naturalismo riduzioni stico implicherebbe una concezione deterministica e quindi metterebbe in discussione l’idea di libertà umana.

Per Giovanni Jervis, “ è tipico del pensiero laico non già il fondarsi su un credo ma il discutere l’applicabilità di una serie di orientamenti riguardanti problemi di convivenza”. Perché “il pretendere di sacralizzare questi orientamenti fino a congelarli in una serie di principi non conduce a buoni esisti”. Ma Jervis ritiene che l’orientamento darwiniano sia materialista “. Jervis si muove con disinvoltura nella letteratura neurospicologica che ha scavato a fondo nelle nostre predisposizioni naturali, e non dà prova di nessun ossequio verso il “politicamente corretto”. Per Jervis, dunque, la questione centrale del tempo che stiamo vivendo è la reazione culturale in risposta al nuovo naturalismo e alle sue conseguenze. Egli illustra come le scoperte scaturite dalla neuroscienza e dalla psicologia sperimentale hanno significativamente modificato le idee tradizionali di natura umana. Si è scoperto che non siamo tanto buoni, né mediamente così intelligenti né tanto meno razionali quando prendiamo decisioni nel contesto della quotidianità. Visto che le emozioni giocano un ruolo importante e che l’educazione è essenziale, anche se insufficiente, per tenere a bada impulsi egoistici o antisociali.

Ormai queste cose le sanno tutti. Ma la maggior parte degli intellettuali e politologi continuano ad ignorarle. Jervis affronta proprio le implicazioni per la teoria e l’azione politica delle nuove conoscenze sui limiti della razionalità e della bontà umana. Ci sono una serie di sensatissime argomentazioni circa il fatto che l’esistenza  e la sopravvivenza della democrazia dipendono da delicati equilibri, che possono essere destabilizzati dalla ricerca e dall’imposizione politica di certezze e di valori assoluti. Come stanno facendo in pratica i politici italiani che impongono, alla faccia della Costituzione e dei suoi principi, a tutti i cittadini proprio quei valori che le gerarchie cattoliche giudicano “non negoziabili”. L’unico antidoto inventato dalla cultura per superare l’inganno e l’illusione della natura umana è l’educazione scientifica che attraverso la conoscenza e la tecnica possiamo comprendere l’origine dei nostri limiti così da evitare di finire nelle mani di qualche impostore.

(Gilberto Corbellini – La politica del naturalismo – Giovanni Jervis – Pensare diritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali – Bollati Boringhieri – Torino).

Il naturalismo politico

Il Liberatore evidenzia che la sostanza del modernismo è da scorgersi nel naturalismo. Il naturalismo equivale alla teorizzazione della natura come dato autosufficiente e come tale estraneo alla grazia. Il naturalismo separando la natura della grazia, afferma istantaneamente la natura come impenetrabile rispetto alla grazia. Di modo che attribuisce l’essere alla natura, mentre pone la grazia nel non essere (non essere reale o non essere vincolante). La premessa del naturalismo moderno è data dalla scissione tra natura e grazia, ed omologamente, tra ragione e fede. Si tratta di una frattura che non si dà propriamente come conclusione epistemologica ma come posizione aprioristica, la quale afferisce al piano del volere in atto. Ne consegue una natura che esclude la grazia (simmetrica a una grazia che si oppone alla natura). Il naturalismo moderno trova il suo momento sorgivo non solo nella teorizzazione della natura delle nature come totalità assoluta e principio a sé medesima, ma anche come presupposizione di una natura fine a se stessa ed estranea ad ogni ordine che la trascende. Il naturalismo costituisce un’opzione filosofica, piuttosto che una conclusione teoretica. Esso si dirama da ogni ordine dell’essere, del conoscere e dell’agire. La rigorizzazione del naturalismo filosofico si compie nel monismo panteistico, ove la natura è il tutto, nell’unità assoluta di se medesima, identificata con la totalità del’essere ( e delle sue manifestazioni). Il naturalismo filosofico costituisce la base e la sostanza del naturalismo politico. Il filosofo politico distingue due gradi del naturalismo politico: il primo separa lo spirituale rispetto al temporale, e lo confina nel privato; il secondo ritiene puramente opzionale l’ordine soprannaturale e pertanto non vincolante per se stesso. L’uno differisce dall’altro non nel genere, ma solo nella radicalità di espressione della medesima attitudine. Ad essi sono simmetrici i due gradi del naturalismo filosofico. Il primo si dà sotto il versante epistemologico, il secondo sotto quello metafisico. Quello che esclude pregiudizialmente la possibilità stessa di una conoscenza che attinga il proprio contenuto ad un ordine superiore a quello dell’esperienza; questo sfocia nell’ateismo. La questione del naturalismo politico non riguarda semplicemente la relazione tra ordine civile e dato religioso. Essa si configura come essenziale per la fondazione stessa di qualsivoglia ordinamento giuridico-politico e dell’obbligazione ( e della lealtà) dovuta nei suoi confronti. Nella visuale naturalistica il diritto si fenomenizza nell’attuazione del volere del sovrano. Al diritto subentra la tirannia della pubblica opinione che si tratta sia dell’opinione effettivamente prevalente, sia dell’opinione che si impone attraverso i mezzi di comunicazione. L’imporsi della forza del numero o l’imporsi del potere dei mezzi di comunicazione introduce una tirannia senza limiti. Perciò capace di far proprio qualsiasi disegno. La legislazione e il governo finiscono per esserne un prodotto, necessariamente provvisorio e mutevole. Il conformismo (sociologico) dei comportamenti e l’imporsi (politologico) dei gruppi ne costituiscono risultanti empiriche conseguenti.  Insomma, assunto il naturalismo politico, alla normatività del diritto (come determinazione del giusto) subentra la tirannia del fatto compiuto, ovvero l’imporsi del dominio, senza altra legittimità che la sua capacità di dominare. Il prevalere dossocratico si sostituisce al discernimento razionale agatologico. In sostanza il naturalismo politico si condensa nell’immanetismo politico. In questa prospettiva nulla trascende la natura nella sua presenza a se medesima. Nessun principio si eleva al di là del fatto. E’ chiaro che il naturalismo politico sostiene la separazione della Chiesa dallo Stato. Tale separazione è l’epifania di una duplice separazione: quella tra il fine dello Stato e il fine dell’uomo in quanto tale, e quella tra il cittadino e l’uomo. Dal naturalismo politico consegue che l’uomo è separato dal cittadino: il cittadino è tale quale lo Stato lo costituisce (alle condizioni che esso pone e di cui dispone); l’uomo resta confinato nello spazio non regolamentato dallo Stato (ove finisce per essere costitutivo della sua identità). Allorchè l’istanza morale e quella legale si trovano in contrasto, ciascuno finisce per essere separato in se stesso. Nella logica dello Stato moderno il cittadino non può che assorbire l’uomo. Mentre l’uomo sarebbe tale solo nel supposto stato di natura, il cittadino è chiamato a pensare e a volere come pensa e come vuole lo Stato. Coerentemente il naturalismo politico si sostanzia nel positivismo giuridico. L’ordinamento giuridico esprime null’altro che il volere del sovrano (ovvero lo Stato). Nessun diritto è riconoscibile come ad esso anteriore. Neppure i diritti che derivano dai doveri dei genitori nei confronti dei figli. La famiglia (piuttosto che essere riconosciuta come comunità naturale) è posta come derivata dall’ordinamento statale. Liberatore conclude che nella logica del naturalismo politico, il passaggio dal liberalismo al comunismo è tutt’altro che contraddittorio. Anzi ne costituisce uno sviluppo coerente. La società, vi è intesa piuttosto che come comunità di comunità (o come famiglia di famiglia), come somma di individui, unificati nella e dalla unità statale (come esemplarmente è teorizzato nel Contract social di Rousseau). L’individualismo, che costituisce il presupposto del naturalismo politico, vi si risolve nell’unitarismo statalistico. Non vi è quindi un fine proprio della comunità politica, iscritto nella sua stessa natura e che coincide con il fine stesso del soggetto umano, in quanto tale. Gli obiettivi che essa dovrà conseguire  sono posti  convenzionalmente dal potere sovrano, che – proprio in quanto tale – potrà fissarli secondo il proprio arbitrio.

(Matteo Liberatore – Il naturalismo politico – a cura di Giovanni Turco –  Edizioni Ripostes – Giffoni Valle Piana – 2016 – Biblioteca del Senato).

Storia delle dottrine economiche – Il naturalismo

Nella storia delle dottrine economiche si illustrano teorie che solitamente sono definite come protezioniste-agrarie o mercantiliste-liberali (scuola di Boisguillerbet, Vauban, Cantillon), fisiocratiche (scuola di Quesnay), smithiane (scuola di A. Smith), socialiste utopistiche (Fourier, Owen), socialiste scientifiche (scuola di K. Marx), anarchiche (Proudhon, Bakounine, ecc.).  Tutte queste dottrine sono ritenute far parte delle dottrine naturalistiche: il primo un abbozzo di credo naturalistico (Boisguillerbet, Vauban, Cantillon); il secondo dei naturalisti dell’evidenza (Quesnay); il terzo dei naturalisti della necessità (Smith); il quarto dei naturalisti della giustizia (Fourier, Proudhon e Marx); il quinto dei naturalisti della convenienza (Menger, Pareto, Marshall).

Nella serie delle dottrine economiche quella formulata dai pionieri del naturalismo prende una inconfondibile posizione. La critica efficace che essa la fa assurgere al primo serio tentativo di sostituire a quella del volontarismo economico un’altra teoria. La formulazione di dubbi sull’operatività di istinti umani e di forze naturali fa di essa il primo tentativo di presentare la realtà economica come la razionale risultante non dell’infaticabile attività ordinatrice di governi, ma della invisibile, ordinaria e volgare attività di  miriadi sconosciuti alla ricerca di un  proprio egoistico benessere e pure riuscenti a realizzare un equilibrato benessere per tutta la collettività. Per questo duplice atteggiamento la dottrina di Cantillon si inserisce nella storia delle dottrine economiche quale ponte tra il volontarismo e il naturalismo. Ed è ponte a tre delle forme possibili di naturalismo.

Il naturalismo dell’evidenza o fisiocratico, essa preparò con la predilezione dei protezionisti agrari per la terra, le imposte dirette e in particolare quella fondiaria, la fiducia in un ordine naturale non immanente ma coglie bile nei suoi precetti e traducibile nella pratica cogli appropriati provvedimenti.

Il naturalismo della necessità, essa preparò con le sottili indagini di Cantillon sull’efficacia dell’egoismo, sull’irresistibile automatismo del mercato, sull’indipendenza delle azioni economiche e dei mercati.

Il naturalismo della giustizia. Il tentativo di ridurre a solo calcolo economico l’operare umano compiuto da Cantillon, preparò anche l’universalizzazione dell’uomo economico che divenne il fondamento più importante del naturalismo della giustizia secondo la formulazione di Carlo Marx.

Considerata così la dottrina dei protezionisti agrari perde il carattere di mediocre anticipazione di quella o di questa teoria  dei fisiocrati e degli smithiani, ed acquista il significato ben più importante di formulazione con la quale l’umanità abbandonò le millenarie concezioni volontaristiche ereditate dall’antichità classica, per attendere a nuove formulazioni profondamente innovatrici, che armonizzano le teorie economiche con le teorie filosofiche e scientifiche in continuo sommovimento rivoluzionario del secolo sedicesimo in poi. I sincronizzatori del movimento del pensiero economico con il movimento generale del pensiero moderno sono proprio questi nominati. Averli nominati pionieri del naturalismo economico non è stato quindi un apologetico arbitrio. Essi sono davvero all’origine del pensiero economico contemporaneo.

(Amintore Fanfani – Storia delle dottrine economiche – Il Naturalismo – Casa Editrice Giuseppe Principato. Biblioteca del Senato)

Storia dei movimenti e delle idee  – Il contesto storico-culturale

Gli anni che vanno dal 1870 alla fine del secolo sono uno dei periodi più complessi e ricchi di eventi della storia contemporanea. La loro importanza deriva dal naturale sviluppo dei cambiamenti verificatisi lungo tutto il secolo XIX, in seguito alle rivoluzioni liberali, democratiche e socialiste, al progresso delle conoscenze scientifiche e della tecnologia, alla nascita della società industriale. In quegli anni nasce realmente un’epoca nuova.

Lo sviluppo scientifico e il “culto” della scienza

Una delle spinte più determinanti a trasformazioni così radicali è da collegarsi la grande sviluppo delle scienze. Le scoperte e le invenzioni, infatti, non modificano soltanto le condizioni economiche e sociali, ma contribuiscono anche a formare una nuova idea del mondo e una nuova concezione dell’uomo. Le scienze, in altre parole, creano esse stesse una vera e propria rivoluzione: influenzano profondamente tutti i settori della vita economica e sociale; orientano la riflessione sull’arte e soprattutto il modo di “fare” letteratura; sconvolgono antiche conoscenze e certezze; danno alla società del secondo Ottocento l’illusione di una lunga età di sicurezza e benessere. Uno degli aspetti più importanti della scienza in questo arco di tempo è che essa si rivolge frequentemente allo studio dei problemi tecnici collegati alla produzione di beni. Si viene così a stabilire un rapporto di collaborazione sempre più stretto tra scienza e industria. Questo legame sembra creare uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo. Il miraggio di una lunga epoca di progresso e benessere provoca naturalmente molto entusiasmo. Ben presto si assiste al fenomeno – che sarà chiamato scientismo – di una fede cieca nella scienza e nel suo potere assoluto di risolvere i problemi e soddisfare le esigenze dell’uomo. Il mito della scienza trova un terreno favorevole nella filosofia del tempo, il positivismo: un sistema di pensiero che imprime una forte accelerazione al movimento delle idee generando una fitta trama di corrispondenze sul piano culturale e suscitando speranze diffuse di rinnovamento sociale. L’opera di Auguste Comte (1798-1857) gioca in questo un ruolo essenziale. Il suo Cours de philosophie positive (1830-1842) e il suo Système de politique positive (1851-1854) non elaborano soltanto un progetto di classificazione e riorganizzazione delle scienze, ma portano soprattutto un contributo decisivo alla costruzione della metafisica della scienza. La fecondità del positivismo, infatti, è meno da ricercare in un consenso globale alla dottrina di Comte che non nella assimilazione generalizzata dello spirito e della mentalità che tale dottrina esalta e interpreta (la scienza come primato, criterio di giudizio, metodo di indagine storica e sociale). Al di là di alcuni suoi aspetti caratteristici e fondamentali, il pensiero di Comte si impone in vari ambiti perché diventa un “sistema aperto”, capace di produrre delle reazioni a catena e di rispecchiarsi in tante mutevoli forme, alimentando continuamente trasposizioni e surrogati di sé. Una sorta di enorme cantiere  dove ai materiali e ai frammenti originari si affiancano e sovrappongono una gran quantità di altri materiali e frammenti, destinati a costruzioni diverse. Da Comte in poi – attraverso soprattutto l’alta autorità di uomini come Hippolyte Taine e Ernest Renan – la filosofia positivistica si fa instancabile interprete dello spirito scientifico, razionalistico e materialistico che si diffonde con l’ebbrezza  delle conquiste della scienza e della tecnica. La “religione della scienza e dell’umanità” – come la chiamava Comte – prende il posto della religione rivelata e dei valori tradizionali,, giudicati simboli di un passato dogmatico e conservatore; di qui la rivolta antireligiosa, il rifiuto della Chiesa e, specialmente nella gioventù intellettuale, la forte ondata anticlericale; da qui la presunta “ morte di Dio” e del sistema di pensiero che lo avrebbe generato, come proclama, da una posizione filosofica molto influente, Friedrich Nietzsche.

Il nuovo volto della società e dell’economia

Il progresso scientifico-tecnico e, di riflesso, il maggior potere del’uomo sulla materia, l’utilizzazione crescente delle macchine e la loro applicazione alla produzione mutano in modo radicale le strutture e i ritmi dell’economia, suscitano nuove forme di attività professionale, modificano le condizioni di lavoro e, per concatenazione di cause ed effetti, generano  nuove “classi” o “tipi” sociali. Allo stesso modo, le trasformazioni  e i rivolgimenti che avvengono nel settore del credito favoriscono la nascita di istituti bancari e consentono l’assunzione di numerosi impiegati. L’avvento della società industriale ha però come effetto di allentare il vecchio stabile rapporto città-campagna e di creare tra esse un progressivo distacco.

Il mito del progresso e la coscienza della crisi

La situazione si aggrava nei lunghi anni (1873-1895) in cui il mondo è colpito da una forte depressione economica.  La disoccupazione e la fame diventano fenomeni preoccupanti. Il forte aumento della popolazione, poi, ingigantisce i problemi e costringe le masse  sempre più imponenti a emigrare all’estero. L’influenza economica ha naturalmente notevoli riflessi anche sul piano culturale. Il mondo, di buon grado o per forza, va a scuola dall’Europa, non solo perché ne riceve l’istruzione, ma perché la imita, ne assume i modelli nelle istituzioni politiche, nelle costituzioni nazionale, nei partiti, nell’organizzazione amministrativa e giuridica, non meno che nella vita sociale, nei costumi, negli sport. Con gli anni, attraverso l’organizzazione di movimenti sindacali e di partiti operai e socialisti si accentuerà la pressione nei confronti dello Stato  per ottenere il riconoscimento di legittimi diritti riguardanti le  condizioni materiali dei lavoratori (dall’entità del salario alla stabilità del lavoro, dagli orari alle condizioni igieniche) e, in una seconda fase, anche per trasferire le rivendicazioni operaie dal piano individuale al più generale tentativo di cambiare la società e costruire un più giusto ordine sociale.

Nuove trasformazioni e conflitti sociali

La rivoluzione industriale e la nuova società che essa modella modificano di continuo le condizioni di vita. In questo quadro si inserisce con un particolare influsso culturale e sociale il pensiero di Karl Marx (1818-1883) che, soprattutto attraverso la sua opera Il Capitale, provoca un grande movimento di idee e pone le basi del “socialismo scientifico”. Negli anni 1870-1880, infatti, il marxismo estende notevolmente la propria area di influenza e comincia a diventare il punto di riferimento principale del movimento operaio. Ben presto sopravanza le altre teorie socialiste che si erano diffuse in Europa e avvia il passaggio dal socialismo come dottrina di puro pensiero al socialismo come forza politica organizzata. Questo processo di sviluppo è in quel momento circoscritto all’area europea, ma determina una svolta sostanziale nella società, sia per gli orientamenti generali che suscita nel governo degli Stati o nell’opposizione al potere costituito nello stile, nei metodi e nelle forme dell’attività politica, sia per le scelte più vaste che abbracciano la sfera dei valori culturali, morali e religiosi.

Nascita e sviluppo del naturalismo

Origine del termine

Prima di essere riferito al movimento letterario che assume come principio e modello di rappresentazione narrativa la realtà “sperimentale” delle scienze della natura, il termine “naturalismo” era usato in Inghilterra fin dalla metà del Seicento per indicare la credenza fondata sulla sola ragione umana (naturalism 1641), mentre fa la sua comparsa in Francia agli inizi del Settecento per designare “l’interpretazione mitologica dei fatti della natura” (La Motte-Houdar, Fables 1719) e, verso la metà del secolo, il “ sistema in cui si attribuisce tutto alla natura come primo principio” (Diderot, Pensèe philosophiques, 1746).  L’uso del naturalismo nel senso che di lì a poco sarà comunemente attribuito al termine si ha nel 1857, quando il critico d’arte Jules-Antoine Castagnary, nel tratteggiare i caratteri artistici  di Coubert, lo definisce un “pittore che tratta la natura con realismo”. Questo binomio natura/realismo anticipa il riferimento specifico al naturalismo fatto l’anno dopo da Hippolyte Taine come “scuola letteraria che si propone di dare una rappresentazione realista della natura” e ai naturalisti come “coloro che la pratica in arte” (Essais  sur Balzac 1858).

Il dibattito sul realismo

In relazione al realismo considerato in una prospettiva critica, il ruolo svolto da Champfleury è stato certo stimolante, ma non tale da far di lui il caposcuola del movimento naturalista, come vorrebbe Zola. Se non manca di distinguersi, infatti, per una poetica realista d’ampio respiro, egli non reca invece alcun preciso e rigoroso apporto all’evoluzione teorica del romanzo nel senso che lo intenderà Zola.

Il naturalismo secondo Zola

L’esperienza che Zola andava cumulando e maturando sotto il profondo influsso delle teorie di Darwin, Lucas, Letourneau e, ancor di più, della filosofia dell’arte di Taine e delle prospettive mediche sperimentali di Bernard, si arricchisce con l’esempio dei Goncourt. Nello specifico campo del romanzo Zola riconduce la matrice originaria della formula naturalista all’opera di Balzac e Flaubert. Ricollegandosi espressamente a Taine, Zola riconosce in Balzac il padre del naturalismo, lo scrittore che più ne imprime i caratteri e ne determina gli sviluppi.

I funerali del naturalismo

 Con la morte, a distanza di pochi anni, dei principali protagonisti: Maupassant, Goncourt, Daudet, Alexis, Zola si chiude la parabola storica del movimento. Ma il declino o, come li chiama Lèon Bloy, i “funerali” del naturalismo cominciano già prima. Il fatto che sotto l’etichetta naturalistica fossero classificati autori e opere di diversa ispirazione e maniera significa che la matrice del naturalismo era vaga. Quando Zola afferma che il termine naturalismo “finirà per avere il senso che gli daremo” o quando sostiene che lo scrittore naturalista resta pur sempre libero di esprimere nell’opera “come gli sembra meglio “, concede alla creatività dell’artista uno spazio che, nel passaggio dall’enunciazione teorica alla fase applicativa, diventa sempre più largo e predominante, finendo con lo snaturare e invalidare il principio, essenziale del naturalismo, di una rigorosa e del tutto obiettiva rappresentazione dl reale.

Eredità del naturalismo

La fortuna del naturalismo è strettamente legata a Zola e all’accoglienza riservata alle sue opere. Sulle gazzette e le riveste del tempo, Zola era diventato il bersaglio preferito. La sua persona e i suoi personaggi venivano largamente  ripresi dai giornali, già nella seconda metà degli anni settanta ma soprattutto a partire dagli anni ottanta. Caricature forti in cui l’opera di Zola e il movimento che a lui faceva capo diventavano materia continua di satira. Esse compongono una ricca antologia e costituiscono un capitolo di grande interesse nella storia della fortuna di Zola, in quanto sono documenti rivelatori, nella loro stessa negatività, del clima di un’epoca, della popolarità del romanziere e della battaglia delle idee che ruotava intorno a lui. Anche dopo la morte, Zola – con le sue tematiche popolari, il suo spirito artistico e il suo impegno civile – continua a essere un riferimento importante, o come ispirazione diretta o come sotterraneo richiamo. Passata l’epoca delle contrapposizioni frontali o delle difese a oltranza – l’una e le altre contrassegnate più dai sentimenti e dalle passioni  che non improntate  a un’oggettiva analisi critica -, anche lo sguardo e il giudizio sulla sua opera cominciano ad allargarsi. Sarà tuttavia solo negli anni Cinquanta che l’opera di Zola, letta in chiave critica, acquisterà una fisionomia e un posto preciso nella storia della letteratura. Da quel momento prenderà l’avvio un lavoro sistematico di esplorazione di Zola e del naturalismo, volte a definire sempre meglio, la complessità e la portata della testimonianza letteraria e culturale di Zola. Le radici del successo di Zola stavano soprattutto nella sua capacità di guardare al proprio tempo con lo sguardo proiettato all’avvenire. Non a caso la stampa poneva l’accento sull’impegno civile e la funzione sociale dell’arte di Zola e, in loro nome, tendeva a giustificare anche l’audacia e la crudezza con cui lo scrittore sottoponeva ad analisi i comportamenti individuali e collettivi. Quel che colpiva in Zola era infatti, prima ancora della forza epica, il coraggio della verità. Nel coro osannante di voci che salutavano Zola come un maestro della letteratura, non mancavano di avere atteggiamenti di riserva nei confronti della sua poetica. Gli stessi Verga e Capuana, pur assimilando alcuni principi del romanzo naturalista, seguiranno nel loro operare artistico una diversa ispirazione, erano orientati verso una rappresentazione della vita che nasceva sì dalla realtà, ma una realtà ricreata dall’intimo. Verso il 1890 cominciava a profilarsi una più generale ondata di riflusso che neppure l’enfasi delle grandi occasioni, rispolverata nei giorni dell’affare Dreyfus, era riuscita ad arrestare. Il clamore suscitato dal processo e l’eco avuta dal J’accuse (1898) zoliano non serviranno infatti  a rilanciare la popolarità dell’autore già declinante in Francia e di poi in Italia. Il successo personale di Zola aveva favorito di riflesso la conoscenza di altri scrittori naturalisti o in qualche modo collegati al naturalismo. Jules e Edmond Goncourt cominciavano ad avere una discreta cerchia di lettori ma che comunque la loro opera non riuscirà a penetrare nella cultura italiana. Particolarmente calorosa fu l’accoglienza riservata a Maupassant e a Daudet. Le ragioni di ciò erano da ravvisarsi nella freschezza narrativa con cui realtà, sentimento e poesia diventano il racconto della condizione umana. Nelle Soirèes de Mèdan, tradotte in Italia nel 1881 col titolo Le veglie di Medan, Maupassant aveva dato la misura di un’arte non allineata sui rigidi schemi del naturalismo zoliano, ma ispirata alla più libera esperienza creatrice maturata alla scuola di Flaubert.  Questa prospettiva era stata ben intuita da critici come Cameroni, Zena, Pica, Pipitone Federico, ai cui occhi Maupassant rappresentava un nuovo punto di riferimento nella storia del romanzo realista. Stessa accoglienza anche per Daudet. Le numerose traduzioni che Treves e Sonzogno facevano rispondevano a un diffuso interesse verso questo autore che sapeva porre, nella pesante atmosfera del naturalismo, una gradita nota di fantasia, ottimismo e calore umano.

Conclusioni

Un aspetto che emerge con chiarezza è che il naturalismo è andato quasi sempre al di là di se stesso, delle sue teorie e dei suoi programmi. Se questo in fondo è stato il suo limite, alla distanza è stata la sua forza, perché gli ha consentito di liberarsi dai vincoli di un documetarismo asettico che non avrebbe potuto restituire l’intima verità degli ambienti e dei tipi sociali rappresentati. In definitiva resta vero quanto affermava Brunetière: alla fine contano, non le teorie che si proclamano ma i contenuti reali delle opere. Sono questi, se validi, a resistere al tempo, contro o al di là delle stesse teorie che li hanno fatti nascere.

( Giuliano Vigini – Storia dei movimenti e delle idee – Naturalismo francese – Editrice Bibliografica – Milano 1996 – Biblioteca  Camera dei Deputati)

Movimenti e istituzioni

I cosiddetti movimenti collettivi danno forma a tutte le formazioni sociali più stabili come partiti, sette, chiese, nazioni, imperi. Questa teoria, in passato, sarebbe stata classificata come ‘filosofia della storia’ ma oggi è da considerare come teoria sociologica dei movimenti collettivi e delle istituzioni in quanto la sua articolazione interna assomiglia a quella degli autori classici della sociologia come Weber, Simmel, Durkheim e Pareto. I movimenti collettivi nascono imprevisti e imprevedibili dal brusco sorgere di una solidarietà che rompe i precedenti legami e produce un nuovo aggruppamento umano animato da ideali e con un nuovo progetto di vita. Il più importante movimento del secolo scorso fu il maxismo che conquistò il potere in Russia e in Cina creando il cosiddetto regime totalitario ed altri tipi di regimi. Nella società occidentale vi è sempre stata una continua trasformazione scientifica-economica che da origine nuovi modelli di vita. Trasformazione derivata dalle crisi che hanno interessato gli Stati e i governi. In Italia la fragilità della Democrazia è dovuta ad un difetto della Costituzione che non tiene conto della fondamentale separazione dei tre poteri di Montesquieu: esecutivo, legislativo, giudiziario. Nella nostra Costituzione sono presenti solo due dei poteri, quello legislativo e quello giudiziario, mentre l’esecutivo dipende dai capricci di Camera e Senato. Il risultato è una spaventosa insufficienza dei governi, l’aumento del debito pubblico perché nessuno è responsabile delle spese, una vera e propria anarchia parlamentare e, probabilmente, è per questo che i politici difendono con tutti i mezzi il privilegio di garantirsi la rielezione. L’obiettivo di tutti, per una giusta applicazione della Democrazia, dovrebbe essere quello di riuscire a sostituire la dominante mentalità legalista con quella concreta e pragmatica. La riforma elettorale proposta con la riforma della Costituzione consentirebbe di concentrarsi solo su quei movimenti, partiti e persone che hanno una vera consistenza pragmatica a  poter realizzare, attraverso le leggi, le istanze del popolo e renderle fattibili attraverso una piu’ veloce legislazione parlamentare. Se i governi dovessoro fallire possono con le elezioni sciegliersi nuovamente i capi.

Lo sviluppo scientifico-economico

I movimenti del XIX secolo, dove come sappiamo, è più spiccata la componente sociale, sono anticapitalisti, ed è da essi che nascono i sindacati e i partiti socialisti moderni.

Anche la scoperta scientifica ha al suo centro un processo di stato nascente. Però questo processo resta, di solito, confinato all’interno di piccoli gruppi di specialisti e gli effetti delle scoperte si producono senza che sia necessario il costituirsi di un campo di solidarietà molto ampio.

Con la crisi economica nacquero i movimenti collettivi che furono sul punto di essere egemonizzati da èlite radicali di destra o di sinistra, comunque collettiviste. Gli studiosi di economia politica sostenevano che “la demagogia populista era rappresentata soprattutto dai leader razzisti del Sud, Theodor Bilbo e soprattutto Huey Long. Ma questo è uno scorcio dell’atteggiamento inquadrato in posizioni di tipo totalitario. Nei Paesi occidentali la tendenza collettivista non riuscirà a prevalere dappertutto. Nella cultura politica, in cui cresce il ruolo dello Stato, garante del benessere di tutti, si avvia alla produzione e al consumo di massa nascendo in tal modo un’etica per la produzione e il consumo. Etica destinata però, negli anni successivi, ad un rovesciamento del valore del consumo e del risparmio. L’etica del risparmio doveva essere sostituita da un’etica del consumo. Ma il processo di trasformazione richiedeva un ulteriore passaggio. Se i migliori non possono più diventare produttori indipendenti, capitalisti, che cosa può essere proposto? Questo è il campo dove si realizzerà l’invenzione del manager. Il manager è un burocrate, in quanto occupa un ufficio ma, è anche un imprenditore che innova, rischia, e risponde totalmente del suo successo o insuccesso. Il processo di riforma è stato poi completato da ulteriori componenti: la riorganizzazione sindacale e l’intervento dello Stato nell’economia come garante dell’occupazione e dell’equa distribuzione del reddito, successivamente dalla mobilitazione nazionale vista come ideale universalistico. L’intervento pubblico nell’economia volto ad assicurare lo sviluppo economico, la solidarietà nazionale, i sindacati forti, l’imprenditorialità manageriale, reddito e riconoscimenti sociali, cioè oneri e doveri di consumo quali pilastri dello sviluppo capitalistico, come sappiamo sono interrotti dal 1945 ad oggi, ma nessuna crisi economica è riuscita a mettere lo sviluppo in difficoltà. Tanto che il suo effetto dimostrativo si è fatto sentire anche nei paesi dell’area marxista.

(Francesco Alberoni – Movimento e istituzione. Come nascono i partiti, le chiese, le nazioni e le civiltà – Sonzogno Venezia 2014).

Autori che studiavano già la società post-industriale: scomparsa dei Verdi

L’equilibrio ecologico. Lo sviluppo

Voglio iniziare dal 1970 dal libro di Strassoldo che ho conservato con cura, per capire il Naturalismo contemporaneo per poterlo confermare al momento opportuno. Noi contro lo sviluppo massiccio, lo sviluppo crudele e per un’economia più moderata, per una nuova politica economica. La preghiera di Strassoldo e di altri  si sta avverando a distanza di circa cinquant’anni.

Sviluppo come valore caratteristico della società moderna

Il concetto di sviluppo

Lo sviluppo viene inteso primariamente come aumento del prodotto nazionale, dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione e delle infrastrutture, della popolazione, della sicurezza  interna ed esterna, della stabilità politica, del reddito pro capite, del benessere, dei servizi sociali, della scolarità, delle istituzioni socio-politico-culturali, ecc., inteso a liberarlo dall’enfasi economicistica e a caricarlo di significati più “umanistici” e culturali; inteso  cioè a recuperare tutta la positività originaria delle sue connotazioni, dopo che i fallimenti e le disfunzioni dell’approccio economicistico ne avevano un po’ macchiata la rispettabilità. La differenza è che noi non cerchiamo di recuperare tutto il significato positivo del termine sviluppo, perché la nostra tesi è che lo sviluppo non è un valore finale, ma uno strumento, un mezzo, o al massimo un valore strumentale per realizzare qualcosa di diverso ed opposto: l’equilibrio dell’ecosistema.

Contestazione giovanile dello sviluppo

La ricerca della gioventù della società industriale avanzata non sembra aver dato frutti; in sostanza, non sembra aver creato nulla di più che una “contro-cultura”. Ma malgrado ciò la rivoluzione giovanile è importante per la forza che ha dato alle argomentazioni dei Kulturkritiker, per la popolarità che ha concesso alle idee di filosofi, naturalisti, sociologi, che da tempo andavano predicando del capitalismo dominante, per l’evidenza che ha dato a fenomeni come l’alienazione industriale, il deterioramento urbano, l’inquinamento ambientale, la manipolazione culturale, la responsabilità del sottosviluppo, il conflitto razziale, la degenerazione delle scienze e delle tecnologie al servizio della tecnostruttura; insomma per le reazioni che ha indotto nel sistema. Certo, a breve periodo si tratta anche di reazioni regressive; ma inducendo una certa misura di conflittualità in un sistema quasi monolitico la contestazione ha creato l’atmosfera per ripensamenti, esami di coscienza, rielaborazioni culturali da parte del sistema stesso, permettendogli di arricchirsi, accrescersi, evolversi e progredire. (Lewis Mumford – The Pentagono of  Power – Secker and Warburg – London 1964-1970 / Theodore Roszak – The Making of a Counter-Culture – Faber and Faber – London 1970).