Giusnaturalismo e positivismo giuridico

La raccolta di saggi bobbiani Giusnaturalismo e positivismo giuridico, con la quale fu inaugurata nel 1965 la Collana “Diritto e cultura moderna” diretta da Renato Treves e da Umberto Scarpelli (Edizioni di Comunità, Milano), è da molti anni un classico della filosofia del diritto. E’ forse il libro filosofico-giuridico di Norberto Bobbio più noto  e più letto. Su di esso si sono formate generazioni di studenti, che dalle sue pagine hanno appreso uno stile di pensiero e di ricerca informato all’analisi concettuale, alla chiarezza del linguaggio, al rigore delle distinzioni e all’impostazione razionale dei problemi. Il libro è diviso in tre parti. Nella prima Bobbio illustra la sua concezione della filosofia del diritto, distinguendone i diversi compiti,  analizzandone i diversi problemi e proponendo un programma di lavoro gius-filosofico finalizzato alla chiarificazione dei concetti, alla dissoluzione dei falsi contrasti e dei falsi problemi e alla sollecitazione de confronto, contro ogni forma di dogmatismo, tra i diversi orientamenti filosofici. “Filosofia del diritto, egli scrive, è espressione “generica, poco rigorosa e quindi mal definibile e non utilmente adoperabile”; poco più che un’etichetta accademica, all’insegna della quale vengono svolti gli studi e gli insegnamenti più disparati, dalla storia del pensiero giuridico e politico alle dottrine della giustizia, dalle riflessioni metafisiche sul concetto di diritto agli studi di teoria generale del diritto, dalle dottrine sul metodo fino alle indagini sulle pratiche giuridiche e sui rapporti tra diritto e società. Bobbio propone perciò l’abbandono della concezione della filosofia del diritto come disciplina unitaria e la distinzione degli studi gius-filosofici in tante discipline particolari quanti sono i problemi da essi affrontati: il problema “deontologico”, relativo ai valori che ispirano o dovrebbero ispirare il diritto positivo, di competenza della Teoria della Giustizia; il problema “ontologico”, che sollecita l’elaborazione, ad opera della Teoria Generale del Diritto, delle categorie giuridiche generali, come “potere”, “dovere”, “norma”, “sanzione” e simili; il problema “fenomenologico” dell’effettività e del funzionamento concreto delle istituzioni, di pertinenza della Sociologia Giuridica, che guarda al diritto “come fenomeno storico e sociale”; infine il problema “metodologico”, che interessa la Metodologia Giuridica e che include la teoria della scienza del diritto, la logica giuridica e la teoria dell’interpretazione. Le altre due parti del libro sono dedicate alla secolare controversia tra giusnaturalismo e positivismo giuridico, della quale Bobbio analizza il significato e i diversi piani sui quali l’alternativa viene di solito proposta. Precisamente Bobbio distingue i diversi significati del positivismo giuridico mostrando come la confusione tra i diversi significati è spesso alla base sia della critica radicale che della difesa incondizionata del giuspositivismo, l’una  e l’altra ingiustificate. L’analisi bobbiana resta ancora oggi un’acquisizione meta teoretica preziosa. Bobbio nei suoi saggi mostra l’incompatibilità tra positivismo giuridico e giusnaturalismo soltanto in due casi: a) se concepiti entrambi, nella loro forma estrema e radicale come ideologie della giustizia, l’uno come etica “legalista” in forza della quale “si deve ubbidire alle leggi in quanto tali”, l’altro come “etica naturalistica” in forza della quale “si deve ubbidire alle leggi solo in quanto sono giuste”; b) se concepiti entrambi come teorie del diritto, l’uno come “teoria dell’esclusività del diritto positivo” identificato come il solo diritto esistente, l’altro come “ teoria della superiorità del diritto naturale” sul diritto positivo come un sistema normativo sovraordinato, quale parametro non solo di giustizia ma anche di validità, al diritto prodotto dagli uomini. Bobbio mostra altresì la simmetria e conseguentemente la compatibilità tra i due orientamenti, ove essi siano intesi come due modi diversi di accostarsi al diritto: il positivismo giuridico come “come presa di conoscenza” e il giusnaturalismo come “presa di posizione”; l’uno come approccio “caratterizzato dalla netta distinzione tra diritto reale e diritto ideale, o, con altre espressioni equivalenti, fra diritto come fatto e diritto come valore, tra il diritto qual è e il diritto quale deve essere; e dalla convinzione che il diritto di cui deve occuparsi il giurista sia il primo e non il secondo”; l’altro come atteggiamento critico nei confronti delle leggi positive sulla base di principi o valori di giustizia ad esse esterni. L’alternativa tra giusnaturalismo e positivismo giuridico, risolta da Bobbio e da gran parte della filosofia gius-analitica degli anni ’60 e ’70 con una chiara opzione per il positivismo giuridico, è tornata poi a riproporsi con forza nel diverso modo di concepire le costituzioni del secondo dopoguerra e il costituzionalismo: come insieme di principi morali oggetto di bilanciamento legislativo o giudiziario, oppure come sistemi di limiti e vincoli di diritto positivo rigidamente imposti a tutti i pubblici poteri. Dopo anni di dominio incontrastato del positivismo giuridico si era manifestata, soprattutto in Italia e in Germania, una rinascita del diritto naturale come “diritto vigente”, dettata dall’imperativo morale di non accreditare come valide le leggi intollerabilmente ingiuste emanate dalle dittature. Oggi l’attacco al positivismo giuridico come approccio quanto meno insufficiente  a dar conto della natura e del funzionamento delle nostre democrazia costituzionali si è di nuovo riproposto, ma sulla base di una relazione rovesciata tra diritto e morale. Oggi vediamo molti giuristi e filosofi “lasciar cadere il positivismo, senza rimorsi, tra le anticaglie in cui ancora alcuni anni prima giaceva in completo abbandono il diritto naturale! E ritrovarsi sotto le incerte etichette del “non-positivismo” e del “post-positivismo”. Ebbene, l’analisi concettuale cui Bobbio ha sottoposto il positivismo giuridico e il giusnaturalismo può esserci ancora di aiuto per impostare correttamente la questione. “La positività non  è di per se stessa un valore”, scrive Bobbio, “dato che l’espressione diritto positivi” al pari del resto dell’espressione “antitetica” diritto naturale, è completamente muta riguardo al contenuto delle prescrizioni positivizzate e designa piuttosto un possibile fondamento per l’assunzione e la imposizione di qualsiasi valore”, sia esso democratico o antidemocratico, liberale o illiberale, sociale o antisociale “Nello stampo della legalità”, scriveva Calamandrei,  “si può colare oro o piombo”. E questo vale per la legalità ordinaria come per la legalità costituzionale. Anche le costituzioni possono contenere norme (che riteniamo ingiuste), o peggio essere (reputate) nel loro insieme totalmente ingiuste perché, per ipotesi, illiberali e antidemocratiche. Ed è su questo che risiede il carattere formale rivendicato da Bobbio di tutti i concetti teorici, come concetti tipo post-positivista o non-positivista: dalla critica storicistica alla fallacia naturalistica dell’indebita derivazione se anche si ammettesse  “un’oggettività della morale” di giudizi di valore da giudizi di fatto. Il vecchio dilemma e conflitto tra diritto naturale e diritto positivo, tra giustizia e validità, tra ragione  volontà è stato ridimensionato con la positivizzazione di quella specifica “legge della ragione”, che si è affermata con il patto costituzionale quale insieme di limiti  e vincoli alla “legge della volontà”, che in democrazia è la legge del numero espressa in suffragio universale e dal principio di maggioranza. La scienza giuridica ne risulta investita di un ruolo non più puramente descrittivo, ma anche critico e progettuale. Antinomia e lacune strutturali sono vizi giuridici che impongono una critica giuridica, dall’interno del diritto medesimo, e non semplicemente la critica politica ad esso esterna. E’ questa critica politica che resta preclusa alla scienza giuridica positiva, essendo di competenza della filosofia morale, della filosofia politica e, soprattutto, della morale e della politica che guidano i giudizi e ci comportamenti di ciascuno di noi. Esclusa come impossibile l’avalutabilità giuridica o interna nell’approccio scientifico allo studio del diritto resta prezioso l’insegnamento bobbiano sul valore dell’avalutabilità politica o esterna come costitutivo del carattere scientifico delle discipline giuridiche positive. Sotto quest’aspetto il principio dell’avalutabilità esterna si connette d’altro canto al principio giuspositivista della separazione tra diritto e morale o tra validità e giustizia, del quale non è altro che la versione metodologica.

(Norberto Bobbio – Giusnaturalismo e positivismo giuridico – Prefazione Luigi Ferrajoli – Editori Laterza – Roma-Bari 2011 – Biblioteca Camera dei Deputati)

Bobbio in questo testo illustra la sua concezione della filosofia del diritto, distinguendone i diversi compiti,  analizzandone i diversi problemi e proponendo un programma di lavoro gius-filosofico finalizzato alla chiarificazione dei concetti, alla dissoluzione dei falsi contrasti e dei falsi problemi e alla sollecitazione del confronto, contro ogni forma di dogmatismo, tra i diversi orientamenti filosofici. “Filosofia del diritto, egli scrive, è espressione “generica, poco rigorosa e quindi mal definibile e non utilmente adoperabile”. Il naturalismo ha anche un ampio campo di applicazione politico, letterario, giuridico ambientale, sociale, economico che parte dal positivismo abbracciando la letteratura fino a giungere alla parte economica e le sua varie dottrine. E’ ovvio che nel naturalismo il giusnaturalismo occupa una posizione di una certa rilevanza da proporre in tutti i settori.